Chris Stalcup & The Grange
Dixie Electric Company
[
Dirtleg
2014]

thegrange.bandcamp.com

File Under: american heartland

di Gianfranco Callieri (26/01/2015)

C'erano una volta i dischi (e i libri, i film) "di serie B", forse destinati non a lasciare tracce tangibili nella storia della musica ma certamente capaci di stabilire una connessione unica e particolare con gli ascoltatori in grado di apprezzarne la poesia minima, l'onestà espressiva, il linguaggio senza fronzoli. Schiacciati dalle pretese di un'epoca in cui, per non soccombere al sovraccarico di stimoli e informazioni, a ogni opera si chiede d'essere un capolavoro, i B-Records, quando non sprofondati in nicchie ormai talmente minoritarie da apparire irriconoscibili, risultano oggi quasi del tutto scomparsi. Eppure capita ancora che ogni tanto, quasi dal nulla, spuntino artisti in grado di dire magari poche cose, ma di dirle bene, con onestà e passione, ricorrendo a un idioma solo in superficie già sentito e in realtà classico, universale, a suo modo intramontabile come quello del rock'n'roll. Il georgiano Chris Stalcup è uno di questi personaggi, e con i suoi The Grange, in pratica un piccolo esercito, turnisti di Atlanta più attaccati al verbo del rock sudista infarcito di country e ballate elettriche da east-coaster, ha dato vita a un piccolo, grande album dove la tradizione rockinrollista di Del Fuegos, Georgia Satellites, Green On Red e J. Geils Band trova una rinnovata consacrazione.

Nelle canzoni di Dixie Electric Company e nella voce annaffiata dal bourbon di Stalcup (all'incirca un epigono appena più arrochito di Patterson Hood dei Drive-By Truckers) ci sono l'insofferenza e la tristezza generazionale di una provincia americana impoverita dallo shutdown, dalla distanza dai grandi centri del potere, dalla chiusura di fabbriche e stabilimenti, un'inquietudine che, pur ricorrendo a un vocabolario spesso riconducibile al passato, per esempio nel travolgente honky-tonk elettrico di Pawnshop (con il protagonista intento a portare il proprio cuore "al banco dei pegni" per sapere quanto "possa valere" nonostante sia stato spezzato molte volte) o nel country-rock vivace di Think Of Me, vuole parlarci del qui e ora, della possibilità di resistere e non mollare grazie al rock, ai cori sgangherati di un mid-tempo alla Rolling Stones, alla malinconia di una serenata operaia cantata ricordando il Bruce Springsteen di The River. Stalcup e soci si gettano in tutti i luoghi comuni del roots-rock, dal country cosmico delle iniziali title-track e Old Hwy 41 alla cavalcata da saloon della stupenda Eastern Stars (con tanto di harmonies sbracate alla Dexateens), dai fiati in stile Stax dell'irresistibile Change Your Mind ai tempi spezzati di una California tutta scossoni e ascensioni di sei corde, ma sfuggono alla convenzionalità dell'interpretazione, la aggirano e la superano con un'alta qualità media delle composizioni, ma soprattutto grazie a quella sensibilità scoperta e complice tipica dei prodotti cresciuti lontano da multinazionali e grossi circuiti.

Così, ogni brano finisce per mettere a nudo un'ansia libertaria in più, un ulteriore tormento, un'altra voglia di scappare, e persino il folk d'atmosfera della lunga Caroline riesce a suggerire mondi interiori ben più vasti e articolati di quanto la sua grammatica sonora, invero piuttosto semplice (una tromba, un accenno di piatti e percussioni, qualche rumorismo assortito sullo sfondo), non faccia supporre a un primo ascolto. Il meglio, però, arriva alla fine, con la trasformazione di Hold On The Handle, nei primi minuti un quadretto rootsy abbastanza intimo, in sontuosa parata springsteeniana, e il micidiale cow-punk per organo e batteria indemoniata di una Into The Wind che è impossibile non ritrovarsi a cantare assieme agli esecutori. Rabbioso, amareggiato, e ciò nonostante mai ammaestrato, Dixie Electric Company è, per quanto mi riguarda, il disco "di serie B" dell'anno, un lavoro forse minore (in un certo senso lo è senz'altro), ma in diversi momenti molto più affascinante, eccitante, romantico, scatenato e inventivo di tanti prodotti appartenenti (talvolta senza alcun merito) alla categoria cadetta.


     


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