Tom Brosseau
North Dakota Impressions
[
Crossbill Records / IRD
2016]

www.tombrosseau.com

File Under: candore folk

di Luca Volpe (09/12/2016)

Tom Brosseau lo incrociammo in crisi undici anni fa, un'altra epoca. Di lui scrittura, musica e stile sembravano pronti alla decadenza, poi un periodo di silenzio e uscite minori è stato rotto nel 2014 da un trittico di album a cadenza annuale di cui questo North Dakota Impressions è vetta sublime. Risulta chiaro il corpus unitario del trittico, ma i ventotto minuti di questo disco spiccano per compattezza e slanci geniali. Brosseau, cantautore con voce d'angelo che non teme confronti con i Buckley o con Orbison, ha coniato uno stile che appare etereo rimanendo concreto, e si è proiettato in quell'empireo senza tempo della storia musicale in cui stanno i classici, ma non è atemporale perchè le sue canzoni sono adatte ad ogni tempo.

Tanto la ricerca d'un linguaggio basilare ha raggiunto punte incredibili quanto la sua voce è cristallina e senza età, un gioiello trasparente appena velato da una vena di pietra opaca al suo interno (la coscienza della maturità); in molti al primo impatto credono sia quella di una donna salvo poi ipotizzare una bizzarria alla Klaus Nomi. La sua chitarra è dolce, agile e geniale, capace di incantevoli tecnicismi sopraffini. La mano dell'amico-sodale-produttore Sean Watkins si nota (oltre che negli altri strumenti da lui suonati) nella direzione suggerita all'intero percorso artistico, frutto certo di un confronto dialettico, un disco che è in sé e per sé autosufficiente. No Matter Where I Roam incanta in un'invisibile altalena dove le chitarre oscillano fra West e metafisica, con improvvise micro variazioni di tema occultate dal tono languido. Lo stesso tono, ma increspato da malinconia, rende Fit to Be Tied una palestra per la delicata voce di Brosseau: il titolo viene scandito con una purezza e un candore quasi infantili. On a Gravel Road parte con un arpeggio epico, ma l'autore lo varia in quantità incredibile, una formidabile ridda di sensazioni che infonde in ogni strofa al punto che ogni battuta è un cosmo. You Can't Stop è una finta ballata che con gli inserti elettrici sposta progressivamente l'orizzonte armonico dalla chiusura all'apertura, ma sempre nell'interiorità.

A dispetto di chi potrebbe ritenerlo un depresso, la sua proverbiale ironia fuoriesce nel tema tex-mex di Slow and Steady Wins the Race interpretato dal suo stile eterodosso. A Trip to Emerado è una storia raccontata con la voce di chi narrerebbe ad un bambino una fiaba accompagnandosi con una chitarra acustica che insegue sogni impossibili. Nobody Call on My Own comincia con arpeggi ripetuti che si riverberano nel classicismo della tradizione europea colta, quindi apre una danza duellante con la voce che prosegue per tutta la canzone: capolavoro nel capolavoro. The Horse Will Not Ride, The Gospel Won't Be Spoken: il titolo esplica una lirica dedicata alla tristezza, all'impotenza della volontà, al non agire. Il disco si chiude con la degna Slipping Away. Il missaggio di Sheldon Gomberg ha aiutato un miracolo, quello di un'opera totale.


    


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