David Corley
Lights Out Ep
[
Continental Record Services
2016]

www.davidcorleymusic.com

File Under: I saw the light

di Gianfranco Callieri (11/05/2016)

Quando i dischi avevano un senso, una luce e una storia dietro le spalle e davanti al cuore, persino gli EP - i cosiddetti extended play - potevano racchiudere tappe importanti nello sviluppo personale e artistico di un musicista. Oggi che questo senso non c'è più, essendosi trasformato in tutt'altro (non so se migliore o peggiore, di sicuro diverso), gli EP, in epoca di contenuti liquidi desueti quanto un 78 giri, sono in pratica scomparsi. Eppure questo Lights Out, secondo lavoro di David Corley dopo l'esordio Available Light dello scorso anno, non rappresenta solo una strizzatina d'occhi ai simboli e agli oggetti di un medioevo perduto.

Anzi, con le sue sette canzoni quasi tutte sopra i cinque minuti cadauna, per una durata complessiva ben oltre la mezz'ora, può essere considerato, se non un album vero e proprio, almeno la splendida testimonianza dell'urgenza espressiva di un debuttante con più di mezzo secolo sulle spalle, il resoconto estemporaneo e nondimeno perfettamente compiuto della voglia di cantare e di suonare coltivata da un autore abituato a pensare, ripensare e riscrivere le canzoni dei suoi colleghi più amati - Van Morrison, Tom Waits, Neil Young, Bob Dylan - come se fosse sempre la prima volta. Di gran lunga superiore al suo antesignano del 2015, perché più sporco, più ruvido, più immediato e viscerale, più intenso e coraggioso nel rifiutare la maldestrezza di troppi cantautori senza spina dorsale dell'ultima ora, Lights Out non perde mai di vista le proprie fonti d'ispirazione, dai santini di Lou Reed e Captain Beefheart galleggianti sopra il rockaccio scartavetrato di una garagista The Dividing Line al lungo sermone profumato di legno dei boschi e spigolosità rootsy di una Blind Man della quale sarebbe fiero Greg Brown (o James McMurtry), ma le trascina in un passo, in un ritmo, in un selvatico abbandono del porgersi finalmente di nuovo capace di raccontare la classicità del rock and roll evitando copie, presunzione o saggi di teoria sguarniti del benché minimo artiglio.

Non è da tutti celebrare le proprie radici con il rock-soul ansioso e spezzettato di Watchin' The Sun Go, con la disperata malinconia di una Under A Midwestern Sky (già da ora tra i pezzi dell'anno) dove le unghiate anfetaminiche di Neil Young si mescolano a un gospel elettrico debordante, dirompente e psichedelico, con una ballata da grande crooner delle pianure disseccate dal vento e dalla sabbia come la magnifica, dolente Pullin' Off The Wool. David Corley non insegue le angosce della contemporaneità né le ombre dei bei tempi andati: semmai rivendica, attraverso le sanguinarie scudisciate di una Lightning Downtown in chiave quasi hard, la propria assenza, la propria voglia di stare non dentro il tempo ma sopra di esso, in una centrifuga di anima e calore il cui unico obiettivo sembra quello di sbriciolare la soglia di distacco emotivo degli ascoltatori.

Nella lenta e densissima panacea folkie dell'ultima Down With The Universe emerge tutto il corpo, tutta la consistenza e la credibilità di un gruppo di musicisti, qui chiamati The Wandering Stars o BJ's Wild Verband (a seconda della parte di mondo, Canada, Brooklyn o Paesi Bassi, in cui le canzoni hanno visto la luce), come pochi in grado di richiamare la durezza delle sofferenze personali e riversarla nel flusso lacerante, pieno, stropicciato, vissuto e mai enfatico di una serenata elettrica liberatoria nel suo srotolarsi. Sublime consapevolezza stilistica e rabbiosa voglia di sopravvivere, o di vivere appieno, a 54 anni, per la prima volta: a David Corley non è servito altro per fare di Lights Out uno dei lavori più significativi degli ultimi mesi. E forse non solo di quelli.


    


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