File Under:americana
di
Marco Restelli (26/02/2016)
Capita
ogni tanto che alcuni dischi finiscano nelle nostre mani quasi per caso, come
se il destino volesse farli entrare nella colonna sonora della nostra vita. Turquoise,
album di esordio di Coco O'Connor, mi è arrivato un po' così, dopo aver
visto e ascoltato il video del primo singolo Empty in
California, che mi aveva positivamente sorpreso per il suo spirito
sbarazzino, lasciandomi quella sensazione di "gemma" preziosa che il titolo dell'LP
può in qualche modo evocare. In questi casi si spera sempre che il resto dell'album
possa confermare le attese, che non si tratti del solito "specchietto per le allodole"
e, fortunatamente, così è stato. Originaria dell'Alabama, ma ormai da anni di
casa a Santa Fe (New Mexico), Coco scrive canzoni sin da quando era piccola, essendo
cresciuta in una famiglia che l'ha incoraggiata in questa sua passione per la
buona musica blues/folk, tanto in voga dalle parti di Muscle Shoals.
Finalmente
ha coronato il suo sogno di pubblicare un album interamente scritto da lei e la
sensazione è che ci si trovi di fronte a un disco fresco, spontaneo - privo di
quelle costruzioni omologanti tipiche della produzione alternative country già
bocciata in altre mie recensioni - e che guarda con piacere all'americana e al
rock. La sua voce sa essere versatile: piacevolmente "sporca" a tratti, nei brani
più forti (il bluesaccio di All the Right Things), e molto più pulita e
lineare nelle intriganti ballate melodiche (la splendida Gone).
Tornando al pezzo citato all'inizio, si è subito attratti da questa personalissima
immagine della California e delle sue grandi città che, normalmente, sono considerate
un sogno per molti americani (e nel mondo), ma che qui, al contrario, la O'Connor,
sgretola in quattro minuti scarsi evidenziandone la superficialità e le contraddizioni,
a suon di chitarra elettrica (ben "affilata" da Bill Harvey), che apre la canzone
come fossimo all'inizio di un film western.
L'andamento midtemo, arricchito
dal binomio piano/organo, della suadente Ease Me on Up e il rasserenante
violino di Build my Mountain dimostrano che
la produzione di Margaret Beker è stata efficace, fornendo a ogni traccia i giusti
ingredienti, senza mai voler strafare. I testi sono sinceri, pieni di passione
e ben interpretati a secondo del diverso mood, come nella dichiarazione di amore
incondizionato dell'acustica I'll Say it Again, verosimilmente dedicata
al marito della cantautrice, nella dolcissima True Companion,
o nella più radiofonica Heart Left Behind. In quest'ultima in particolare
l'autrice è riuscita a descrivere perfettamente lo stato d'animo di chi dopo le
delusioni della vita si trova suo malgrado costretto, dalla vita stessa, a dover
raccogliere i propri pezzi per tirare avanti (Through every tear you tell yourself
you're fine, you can't hold on, you can't let go, you fake a smile that's just
for show, you can't go back 'cause you're outta time).
Tirando le somme
direi che, se il buon giorno si vede dal mattino, sulla carriera di Coco O'Connor
sono pronto a scommettere, con l'augurio che riesca sempre a star lontana da coloro
che potrebbero proporle di levigare la sua musica, magari a beneficio di un mainstream
più "furbetto". Il suo "Turchese" è bello così: senza fronzoli, immediato e diretto.