Paul Reddick
Ride the One
[
Stony Plain/ IRD
2016]

www.paulreddick.ca

File Under: beyond the blues

di Luca Volpe (15/07/2016)

Anche i suoi compatrioti canadesi lo conoscono poco, e dal 1992 è stato aiutato in vari modi a sfondare, ma il pubblico proprio non riesce a seguirlo, nonostante l'uso che un'arcinota marca di bevande ha fatto di uno dei suoi primi brani, "I'm a criminal", usato per una pubblicità al Superbowl. Forse soffre di "persecuzioni omeopatiche" (qualunque cosa voglia dire è stato scritto in una "mail" da un tale Tony per l'acquisto di un obiettivo fotografico, soggetto degno di studi) e non riesce a sfondare per questo motivo. Il nocciolo della questione è che quando ci si mette il pubblico a non capire l'artista, non basta neanche un'investitura dall'alto. Paul Reddick è uomo troppo intelligente per quest'epoca. Cantante, poeta, compositore e armonicista, il suo concetto è brillante: gioca col Blues portandolo verso limiti espressivi inattesi per il popolo delle dodici battute e per chi ha di questa musica un'idea stereotipata. Il diavolo di quest'epoca suggerisce "Nessuno ci obbliga per contratto a far nulla, tantomeno ad ascoltarlo e sostenerlo"; e allora vada tutto in malora.

Reddick da un quarto di secolo indica la via alla musica per uscire dalla strettoia in cui è finita, e lo fa con saggezza: Ride the One è il suo ottavo disco dal 1992, non ha dissipato energie in valanghe di uscite. Non seguirlo è idiozia. A riprova questo capolavoro, prodotto con grande ricerca di stile, registrato simulando suoni grezzi, ma l'ascolto chiarisce si tratta di pura ricerca. Con lui Greg Cockerill e Colin Cripps alle chitarre, Anna Ruddick al basso, Derek Downham alla batteria, e luccicano in questa galleria superba senza coprirsi fra loro. Le chitarre guidano spavalde, ma la sezione ritmica fornisce la base di questo gioco di rimodellamento della materia grezza (il blues classico) stravolta in un quasi crossover in cui si colgono tracce di moltissime famiglie di stili, dal reggae al funky fino a tocchi di genio.

Shadows apre alla sua maniera, gioco di armonie e dissonanze, di cambi di tempo, torrida e solare insieme. Sulla scia ma più lineare viene Celebrate, dove la voce arrochita dagli anni si evolve nell'assolo finale di armonica. Mourning, dove è pura letteratura sonora: "Echo in the gloomin" è l'incipit che da solo spiega questa canzone atmosferica e descrittiva, retta da un basso spietato e dalla voce sussurrata, mentre le chitarre accennano agli Steppenwolf. Gotta find a… è sorniona e caraibica, It Goes with You strizza l'occhio a Stevie Wonder, Watersmooth a Get it On di Mark Bolan. Diamonds cala la struttura nel country basandosi sulla chitarra in loop ossessivo su cui sviluppare il testo. Living in Another World mescola le portate precedenti con grazia, I Tried to Tell You è la versione in levare di Black Night dei Deep Purple. Con Love and Never Know il gruppo dà prova di alta coesione in un brano atmosferico superbissimo, la quiete dopo la tensione. Chiude Moon and Star, scherzo finale che irride chi (come Tony) è pazzo e crede di essere sano.


    


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