File Under:
progressive country rock di
Luca Volpe (16/01/2018)
Hans Chew, pianista, chitarrista e cantante, è nato in Tennessee
e ora vive a New York. Una buona capacità compositiva s'accompagna ad una chitarra
possente, un pianoforte ispirato e alla sua voce, tutto dal tipico piglio statunitense
più sicuro: il suo primo lavoro solista, Tennessee and Other Stories…,
nel 2010 ricevette quattro stelle da Rolling Stone, un disco di canzoni esplosive
dal suono classico, pescando a piene mani negli umori di rock, blues e country
e nell'energia dei Led Zep. Ma alle volte le copertine dei dischi riassumono meglio
delle parole: splendeva un granaio dai colori sgargianti sul primo (esaltare a
tinte nuove la tradizione), mentre il secondo vedeva lui dipinto seminudo in una
stanza circondato da un caos soffocante di oggetti e cibarie in cui stava a suo
agio. Sul terzo lavoro, Unknown Sire, del 2016, un garbuglio di linee colorate
mostrava dalla copertina lo stato di confusione del nostro, ma in quella movimentata
iperventilazione di colore stava il germe di una rinascita.
E allora questo
musicista insoddisfatto dei suoi ultimi lavori si lancia in questo Open
Sea, la cui copertina mostra una finestra che s'apre da una stanza, e
si apre incerta su un mare pieno di nubi (passeggere o incombenti, cariche di
pioggia o di paura) in lotta con l'aurora (perché è la costa Est). Chew lascia
da parte i Led Zeppelin, urla basta al neo Soul e s'incammina su una strada scoscesa
e coraggiosa, al limite del temerario. L'Inghilterra e i suoi dubbi amletici lo
ispirano in un disco che è una scommessa: può la musica rurale essere erudita?
Può Beethoven incontrare Robert Johnson? Rielaborando la musica tradizionale,
la risposta è progressive, con suoni che sembrano settantiani grazie ad un gruppo
formato da Dave Cavallo alla chitarra, Rob Smith alla batteria e Jimy SeiTang
al basso. La voce di Chew s'è fatta più roca e sfiora Ian Anderson, la musica
è un tripudio, una girandola ampia (come le sue conoscenze) di riferimenti e rielaborazioni.
Se i CCR e i fratelli Allman avessero fatto progressive, avrebbero suonato così,
e per strane alchimie idealmente ricorda i Groundhogs, o ciò che potevano essere
i Grateful Dead.
Sei brani-quaranta minuti, il primo attacco ad un mondo
che vuole solo canzonette. Give Up the Ghost
comincia con un pacato ed epico giro di chitarra acustica su cui la voce salmodia
e il pianoforte ricama. Quando il resto del gruppo s'introduce a passo sicuro
e baldante con una jam che alla fine vola nel trionfo elettrico della chitarra,
il procedimento sbalordisce per la sua totale distanza dalla contemporaneità.
Potrebbe essere stata incisa nel 1971, non più tardi. Il processo è chiaro: ricamare
sulla musica tradizionale fino a tracciare la trama di un tessuto avvolgente,
con saliscendi d'intensità prodigiosa. Cruishanks
è un lungo sviluppo che descrive con variazioni sul tema, accordi particolari,
cambi di tempo e atmosfera, un tortuoso percorso d'uscita dagli errori del passato.
La jam centrale è ipnotica. Segue il capolavoro Open
Sea, delicato gioco iniziale sospeso fra The Band e il jazz, che pullula
di gesti pensati, calibrati e suonati una miriade di volte. Un'altra lunga deviazione
centrale porta il tutto ad un punto di svolta in cui le chitarre tornano sul giro
iniziale ma con piglio diverso, che da un certo punto di vista fa pensare alle
varianti Mother Love Bone e Smashing Pumpkins del Grunge.
Who Am Your
Love? è la canzone più breve, una suite ammassata in meno di quattro minuti,
con un finale incalzante sincopato quasi Hard. Freely
è il secondo capolavoro nel capolavoro, introdotta da un tema insieme sghembo
ed elegante che s'invola nella classica dimensione Burrito brothers, ma troncata
più volte dal tema iniziale e da un'immagine di pianoforte ipnotica e magica,
un saliscendi che fa pensare al chiaro di luna riletto da CSNY; termina in una
preziosa e ornata jam finale in cui domina la batteria sull'insistere del piano,
mentre la chitarra urla Allman. Extra Mile
chiude il disco ironicamente, dimostrando che non ha dimenticato le origini: inizia
con un'invettiva epica alla Mellencamp e si trasforma in un honky tonk.
Registrato
e prodotto da Jason Meagher (ottimo sugli strumenti acustici), il disco
possiede testi che non sono innovativi ma danno una dimensione umana più accessibile
di quella di grandi ermetici, eppure risultano poetici. Per Chew tutte le strade
sono aperte, la scommessa è vinta, e qualche piccola indecisione rende il tutto
più avvincente. Open Sea risplende in tutto il suo suggestivo potere empatico
nel video clip per la canzone omonima, perché ogni tanto, la musica si vede.