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folk, americana
di Marco Restelli (18/11/2020)
Una cosa che mi stupì quando,
qualche anno fa, mi trasferii in Belgio fu lo scoprire come sia nella
Regione delle Fiandre – nel nord del paese (di lingua olandese) – che
nella vicina Olanda, l’Americana fosse molto apprezzata, tanto che molti
artisti d’oltreoceano riescono ad organizzare in questa zona dei tour
anche piuttosto lunghi. In questo terreno così fertile, era quindi più
che logico che nascessero songwriter locali pronti a mettersi in scia,
tentando di far propria la musica delle radici. In questo ambito si colloca
Ellen Shae, originaria della splendida regione olandese della Zeelanda,
che presenta il suo album di esordio intitolato Caged Bird per
registrare il quale si è affidata al produttore Rich DePaolo, polistrumentista
che a sua volta le ha affiancato in studio musicisti prevalentemente provenienti
dagli Stati Uniti.
E in effetti il sound del disco, un delicato folk acustico, sembra proprio
avere un dna americano, anche grazie all’ottimo accento inglese della
Shae. A dir la verità, nella title track che apre l’album fa subito capolino
in maniera un po’ sorprendente uno strumento (il sax soprano di Mark Karlsen)
che evidentemente non fa parte dell’arsenale tipico del genere musicale
succitato, ma che resterà comunque un episodio isolato. Il brano parla
dell’intimo desiderio di riuscire a essere pienamente sé stessi e ad esprimersi
senza riserve, liberandosi da quella sorta di gabbia in cui spesso ci
si rinchiude e che ci impedisce di spiccare il volo. Nella ballata elettroacustica
Polluted Air, dal tema dichiaratamente ecologico, l’artista olandese
sembra chiedersi, senza trovare per altro risposta, cosa spinga l’uomo
a continuare a inquinare la terra (Is it all about money / Is it about
power / I don’t know what to believe). La successiva
Open Road è anche, e a mio avviso giustamente, il singolo accompagnato
dal relativo video. L’armonica (suonata da Gatt Klein Kromhof), il banjo
e le chitarre slide di De Paolo creano un’atmosfera interessante, mentre
la cantautrice ritorna sul tema iniziale della difficoltà a uscire dal
proprio ambiente (in questo caso fa esplicito riferimento a quando era
ragazza), a capire quale strada intraprendere, nonché quella di scegliere
gli studi giusti.
Toby – dominata da un arrangiamento
di archi veramente efficace – è la suggestiva storia di un uomo che non
sa se continuare a restare con la propria donna, ma tornando a casa scopre
che lei lo ha tradito e così decide definitivamente di lasciarla definitivamente.
Caged Bird si chiude con almeno altri due brani di livello: Dive
In The Dark, ballata acustica, ma dilatata da riverberi elettrici
desertici e la conclusiva Homesick
(con il violoncello di Sera Smolen), nella quale parlando della nostalgia
di rientrare finalmente a casa, si cita l’isola di Ithaca (terra che,
per antonomasia, rappresenta verosimilmente il grande desiderio di tornare
da dove si proviene).
Nel complesso quindi un buon esordio, questo di Ellen Shae, che dimostra
come la scena folk olandese sia in grado di sfornare artisti credibili
a tutti gli effetti.