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Andrew Duhon
Emerald Blue
[Andrew Duhon 2022]

Sulla rete: andrewduhon.com

File Under: laid back americana


di Fabio Cerbone (15/09/2022)

Un viaggio nel nord-ovest americano, sulla costa del Pacifico dello stato di Washington, ha ispirato la quarta opera discografica (se i conti tornano, essendo tutto pubblicato a livello indipendente) di questo songwriter di New Orleans. Andrew Duhon riassume i colori e le sensazioni di quei luoghi nell’efficace titolo di Emerald Blue e infonde una scrittura romantica alle sue ballate, un resoconto quotidiano della sua vita e della relazione con la compagna, partner insostituibile di questo itinerario. I toni sono attraversati da un languore sudista, radici musicali che non abbandonano dunque il nostro protagonista, un country folk irrorato di delicatezze soul, di struggimenti blues, inciso con un trio di base che coinvolge Jano Rix (Wood Brothers) alla batteria, Myles Weeks al basso e Dan Walker alle tastiere e accordion, con la collaborazione di Trina Shoemaker, che ha curato la registrazione negli studi della Louisiana.

Il laid back tipicamente legato a quella terra rimane attaccato al canto di Duhon, che sfodera però la sensibilità di quei folksinger attenti ai sussulti dell’anima, ai risvolti più introspettivi della canzone d’autore roots, ricordando in diversi passaggi una sorta di incrocio tra il collega Anders Osborne (magari nella sua veste più acustica) e il lavoro svolto in questi anni da Hiss Golden Messenger nel ridare slancio a simili sonorità. Emerald Blue è un disco agrodolce fatto di piccoli dettagli e di un suono casalingo, ma niente affatto rabberciato, delicato sin dall’apertura di Promised Land, carezza country blues che esalta la voce stessa di Duhon, bagnata nelle acque di qualche affluente del Mississippi, soulful e avvolgente al punto giusto per ricreare quelle suggestioni che ci aspetteremmo da un songwriter sbucato da quelle latitudini. La band gioca di fino, ricama con doppie voci, abbellimenti di organo e accordion, mentre le chitarre pizzicano leggere seguendo l’umore confessionale del cantante: Slow Down crea tensione e abbraccia l’ascolto ma non esplode mai, la stessa Emerald Blue fiorisce con i colori di un’Americana dalle tonalità soul e Down from The Mountain torna sui sentieri sterrati e dolcemente rurali dell’apertura.

Duhon vanta tre album a cominciare dal suo esordio nel 2009, con un ep di mezzo e l’ultimo dispaccio discografico che risale addirittura al 2014 con The Moorings, disco che è valso una nomination ai Grammy come “Best Engineered Album”: non esattamente indaffarato a curare la sua carriera, sembra piuttosto preoccuparsi di avere le canzoni migliori al momento giusto, dedicandosi alla vita autentica del folksinger itinerante, spesso in tour da solo o al massimo nella formula del trio. Emerald Blue tuttavia sembra suggerire che il talento andrebbe sfruttato di più, con questa capacità di catturare l’attenzione mantenendo i ritmi bassi e le melodie amorevoli, di tanto in tanto tornando dal suo viaggio nell’Ovest verso le amate paludi di New Orleans (la slide che innerva la sinuosa Castle in Irish Bayou) e provando anche ad alzare il livello di sentimentalismo soul (Diggin’ Deep Down, il finale appassionato di As Good as It Gets) e quel dono naturale per melodie che sappiano unire bianco e nero della tradizione americana, racconto folk e preghiera gospel (Everybody Colored Their Own Jesus).

Le gradazioni muiscali di Emerald Blue appartengono a una pigra giornata di inizio estate, portatele con voi se ne avrete nostalgia con l’arrivo imminente dell’autunno.


    


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