Johnny Hickman
Tilting
[
Campstove Records 2012
]

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File Under: roots rock

di Fabio Cerbone (15/09/2012)

Ci sono voluti sette anni per avere un seguito a quel misconosciuto gioiello di equilibri roots chiamato Palmhenge, esordio solista del buon Johnny Hickman, l'altra metà dei Cracker e chitarrista mai troppo lodato per il suo irresistibile gancio rock. Eppure doti di autore non gli hanno mai fatto difetto, anche all'interno della fortunata ditta in coabitazione con David Lowery: scorrendo qualche titolo sparso dal catalogo, le sue canzoni hanno sempre lasciato un segno. Certo, da una parte c'era l'istrione Lowery, la sua voce e il suo ruolo da leader, dall'altra la laboriosa e defilata presenza di una sei corde che metteva insieme il punk, il garage rock, il pop della California, le radici country blues e una predisposizione naturale per riff immedati. Hickman è sempre parso un figlio minore di Tom Petty (o se preferite di Mike Campbell, visto che la chitarra non è un dettaglio nelle sue mani e molti sono anzi i punti di incontro stilistici): con tutte le peripezie del caso (una dura campagna su Kickstarter per raccogliere i fondi necessari alla pubblicazione del disco) Tilting svela una volta di più questo legame artistico, risultando però opera più interiore, personale, spesso con un cipiglio da autentico songwriter.

Frutto in buona parte di un lavoro esclusivo di Hickman insieme al produttore Jason Larson (da ascrivere ai due una quantità notevole della strumenazione), l'album si colora di ospiti e piccoli assaggi vocali, ma tranne qualche abbellimento di piano, organo (c'è anche John Magnie dai Subdudes), fiddle, dobro e pedal steel, a confermare l'impronta più rurale della scrittura al di fuori dei Craker, Tilting vive dell'espressività vivace delle canzoni del solo Johnny Hickman, qui capace di avviare le danze con il gioviale folk rock in lingua Americana di Measure of a Man e quindi spostarsi gradualmente verso le fragranze pop di una Dream Along with Me dagli accenti "lennoniani", salvo immergersi definitivamente in un solare power pop intitolato Sick Cynthia Thing. È l'arte dell'artigianato rock più sensibile e appartato a rendere questo secondo episodio in solitaria una solida conferma del talento di Hickman: gli occorrono soltanto una chitarra acustica e qualche percussione per tenere in piedi i sei minuti d'autore di Destiny Misspent, una melodia jazzy e la seconda chitarra di Jim Dalton per offrire il destro ad una ballata retrò quale Papa Johnny's Arm, e ancora un banjo per tinteggiare di campagna e country la conciliante melodia di Whittled Down, volgendo poi lo sguardo alla coinvolgente coralità di Our Little Movie.

Idee semplici, canzoni altrettanto semplici, che hanno il pregio delle rifiniture e di un linguaggio tradizionale mai adagiato su eccessivi cliché. Sono forse le zampate elettriche, quelle inevitabilmente più vicine allo stile di riferimento dei Cracker, a rendersi più prevedibili: Not Enough è un roots rock eseguito in bella copia, mentre Takin Me Back rispolvera quella frizzante matrice punk che è propria del passato con Lowery, tanto quanto la pungente trama garage blues di Resurrection Train. Familiari tracce di casa, anche se, chissà perché, il corno francese e il piano a guidare la melodia in Drunkard's Epiphany sembrano suggerire un musicista dalle peculiarità ancora in crescita...se soltanto dedicasse più tempo ai suoi dischi.



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