Laura Marling
Short Movie
[
Ribbon/ Virgin
2015]

www.lauramarling.com

File Under: painting my masterpiece

di Fabio Cerbone (26/03/2015)

La parola "masterpiece" ha già cominciato a girare fra gli addetti ai lavori e potremmo tranquillamente chiudere qui la questione per manifesta pigrizia critica, ennesimo tributo a una delle giovani artiste più riverite e "intoccabili", per meriti acquisiti sul campo sia detto, dell'ultima generazione. Quasi non ci si crede che Laura Marling, reginetta indiscussa del folk rock inglese dei giorni nostri, abbia solo venticinque anni e già cinque dischi nel suo albo d'oro, esordiente a diciotto grazie alla rivelazione di Alas I Cannot Swim e da allora in crescita costante. Numeri e dinamiche d'altri tempi, quando questa musica era davvero giovane e aveva il mondo ai suoi piedi.

Short Movie
non interrompe certo la scalata di Laura, risultando a prima vista l'album più accessibile e immediato del suo catalogo, senza dubbio il più eclettico, come è stato sottolineato da più parti. Nonostante ciò, resta il dubbio che sia la classica opera di passaggio, verso una maturità inevitabile, proprio considerato il dato anagrafico, forse l'anello più debole di una catena forte, fortissima, dove prima o poi l'artista doveva fermarsi a riflettere. Senza la produzione chioccia di Ethan Johns, così fortunata nelle simbiosi dei lavori precedenti, Short Movie è una raccolta di piccole vignette, scatti sentimentali e rivelazioni di un momento, un cortometraggio appunto sulla condizione emotiva della stessa Marling e più in generale sulla sua vita, che ha subito cambiamenti anche radicali negli ultimi anni: un trasferimento da Londra a Los Angeles, turbolenze amorose e affettive, una inevitabile pressione, che si è tradotta in stress artistico e attese sul suo futuro.

La reazione è testimoniata passo dopo passo in questi tredici episodi, tra alti e bassi, momenti di estasi e melodie che non sempre trovano lo sbocco giusto. Certamente farà piacere rilevare i rabbuiati scatti rock di False Hope e Don't Let Me Bring You Down, con inedite ombre new wave e uno stile che la avvicina alla più inquieta Pj Harvey, anche se le ammalianti radici folk della Marling non sono sparite dall'orizzonte, da I Feel Your Love all'invocazione di How Can I, fino a tramutarsi in Warrior, introduzione rarefatta, e nella stessa Short Movie, con il suo innalzarsi di archi e chitarre percussive, dentro uno stile chitarristico sempre più apprezzabile. Un compromesso si sarebbe detto un tempo, che funziona e nasconde qualche passaggio a vuoto (i goffi inceppi della voce in Walk Alone, il talkin' un po' irrisolto di Strange), scovando anche soluzioni inedite, per esempio fra le trame spanish della melodia in Gurdjieff's Daughter e le sue improvvise aperture pop.

Resta sacrificato sullo sfondo quel contorto e travolgente sound che rendeva Once I Was an Eagle un album senz'altro più scontroso e tuttavia maggiormente ispirato (qui se ne rinvengono tracce nella scura Howl), diciamo pure più coerente. Luci e ombre quindi, ma una musica sempre attraversata da una sincero trasporto.

    


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