Vent'anni
fa una band di ragazzi inglesi, che sembravano essere stati congelati ai tempi
della Summer of Love, durante un viaggio in India con i Beatles da Sai Baba, dopo
aver vinto un concorso inglese per band emergenti (assieme ai Placebo), uscì con
un disco intitolato K. Era una summa di rock anni '70, psichedelia, pop e mantra
indiani che, nell'era del Brit Pop, ebbe un effetto di rottura, con grande impatto
di pubblico. Poi la band, sotto la pressione del successo mondiale, riuscì a pubblicare
solo un altro disco tre anni dopo, ma nell'era moderna tre anni sono una vita,
e tutti si erano dimenticati di loro e il clamore si spense. Dissidi, abbandoni
e qualche uscita non proprio felice del front man Crispian Mills, contribuirono
al definitivo scioglimento della band. Un paio di dischi vennero ancora pubblicati,
ma più materiale per nostalgici che per il pubblico moderno che non aveva mai
sentito o non si ricordava della band inglese.
A vent'anni esatti dal
primo disco, i Kula Shaker ritornano in pompa magna con il nuovo disco,
che idealmente vuole chiudere quel cerchio da dove erano partiti nel 1996. Esce
cosìK 2.0, con un tour europeo promozionale già sold out
in diversi paesi. La band rimane sempre composta da Crispian Mills, Alonza Bevan,
Paul Winterhart e Harry Broadbent, più una serie di guests che suonano strumenti
tradizionali indiani come sarod, sitar, tabla, tambura e corni. Il tutto riparte
(si perché è un continuum logico con K) da Infinite Sun,
un mantra che risale agli inizi e che la band suonava durante i festival di strada.
C'è la freschezza degli inizi ma una maturità e un suono più studiato, che solamente
l'esperienza può dare. Riff di chitarra, strumenti indiani e il chanting tipico
dei mantra. E' un salto indietro di vent'anni e a quel disco che, pur con tutte
le sue limitatezze, aveva finalmente rotto lo schema del Brit Pop e aveva portato
una ventata di '70s nelle classifiche mondiali. Fra il folk e il rock dei Deep
Purple, Holy Flame è in mezzo a due brani
sicuramente più forti: infatti, il successivo, Death
of Democracy, parla metaforicamente della Grecia, della crisi economica
e ha un ritmo incalzante, stradaiolo, accattivante, con una melodia e dei cori
ben fatti che rimangono in testa martellanti. Love B (With U), con riferimenti
all'"amore universale" tipico della band, ha un forte riferimento beatlesiano
(quel "come together" e la cassa che batte…).
L'episodio più debole del
disco è Here Come My Demons, con quel velo di grigiore che lo rende così
distante dai colori tipici dei Kula Shaker e lo fa sembrare quasi un pezzo degli
ultimi Blur: sembra scritto proprio per la voce di Damon Albarn. Crispian Mills
fa la sua migliore interpretazione del Bob Dylan del periodo di Blonde on Blonde
nel folk 33 Crows, mentre Oh Mary è
freak-folk stradaiolo, ritmato e di facile presa. Potrebbe essere la colonna di
un immaginario western, High Noon, omaggio
alla musica di Morricone, un brano cesellato, in parte anche grazie all'esperienza
di Mills nel periodo di pausa dalla band come scrittore di soundtracks per film.
Il momento in sanscrito, un mantra dedicato a Krishna, in questo disco è Hari
Bol (The Sweetest Sweet), senza però che si arrivi ai parossismi di Tattva
o Govinda, qui siamo più su una interpretazione filologicamente coerente e non
uno stravolgimento in chiave rock. Più movimentato è Get Right Get Ready,
anche se si dimentica facilmente. Mountain Lifter
chiude il disco ciclicamente, tornando all'India e al raga-rock degli inizi.
Ed
è così che vorremmo che continuassero la loro avventura e così che ci piacerebbe
ritrovarli al prossimo disco. Sono passati vent'anni, tante cose sono cambiate,
persino le band di Brit Pop che imperversavano nelle classifiche e che piacevano
alle ragazzine sono cresciute (mi riferisco principalmente ai Blur) e hanno dimostrato
che dietro il successo non c'era solamente pianificazione dell'industria discografica
ma del talento. Pure i Kula Shaker sono cambiati, manca l'entusiasmo degli
esordi in questo nuovo disco, ma rimane la qualità e la padronanza del genere
e ci fa piacere che non siano finiti nel dimenticatoio insieme a tutti quei gruppi
che avrebbero potuto diventare ma non sono mai stati. E fino alla prossima,
Namaste.