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indie rock darling di
Fabio Cerbone (25/05/2018)
Tell Me How You Really Feel, una domanda e al tempo stesso una richesta
che Courtney Barnett sembra rivolgere disperatamente a se stessa e all'ascoltatore,
nello sguardo diretto e un po' assorto che la ritrae nel rosso di copertina. Ci
sono in gioco sentimenti personali, questioni che emergono dalla sua vita privata,
una presa di posizione sincera davanti al mondo, agli altri e ai fatti che proprio
non riesce mandare giù, e che finiscono inevitabilmente per influire sulla sua
ispirazionie. Nascono così le nuove canzoni dell'eroina rock australiana, capace
di ridare slancio e freschezza a un suono chitarristico che pesca a piene mani
nella storia dell'underground degli anni novanta per traghettarlo nelle confesisoni
intime del cantautorato di oggi.
Lo aveva fatto, soprendendo un po' tutti,
con l'exploit discografico di Sometimes
I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit, lo riconferma oggi con un
album che ne ricalca in parte gli schemi, senza perdere di grinta e convinzione,
soltanto con una affermazione più decisa del mondo interiore di Courtney. Non
mancano le melodie e i riff killer, un generale entusiasmo per un guitar rock
che difficilmente in questo momento potrà trovare qualche concorrente a scalzarlo,
oggi peraltro con la benedizione delle sorelle Kim e Kelley Deal delle Breeders,
presenti in un paio di camei, quasi a sancire un passaggio di testimone e una
comune radice sonora. La frenesia elettrica e il sapore garage punk che pervade
gli assalti di City Looks Pretty, Charity
o la più maliziosa Nameless Faceless
è coerente con quella storia, indie rock esteticamente ma anche nella sostanza
calato in una precisa visione, che nel caso di Courtney Barnett significa soprattutto
un impatto dinamico, sbarazzino, sostenuto dall'intesa con la fedele band formata
da Bones Sloane al basso, Dave Mudie ai tamburi, Dan Luscombe alle tastiere e
chitarre e dallo stesso produttore Burke Reid, rafforzato in cambina di regia.
Squadra vincente non si cambia e come potrebbe essere altrimenti se poi
i risultati sono il vacillare pigro di una ballata come Need a Lttle Time,
la sfacciataggine politica di una rabbiosa I'm Not Your
Mother, I'm Not Your Bitch, il power pop svelto di Crippling Self
Doubt And A General Lack Of Confidence, gli stridori e i feedback tra il pencolare
funky di Help Your Self. Mancherà l'effetto
sorpresa, c'era da aspettarselo, ma rispetto alla prova non del tutto convincente
in coppia con Kurt Vile (Lotta
Sea Lice), da cui sembrano derivare ancora certe "pigrizie" come l'iniziale
Hopefulessness o la chiusura con Sunday Roast,
Courtney ha recuperato una manciata di brani che la mostrano senza compromessi,
spedite nell'affrontare la sua condizione di donna, lo sfilacciamento dei rapporti
umani nell'epoca dei social ("gli amici ti trattano come fossi uno sconosciuto/
e gli sconosciuti ti trattano come fossero i tuoi migliori amici") e l'idea che
ogni esperienza quotidiana, anche la più sgradita o singolare, possa ispirare
una buona canzone.