Peter Perrett
Humanworld
[
Domino 2019]

peterperrett.com

File Under: risurrezione rock

di Fabio Cerbone
(21/06/2019)

L’ultimo dei punk romantici è tornato, e questa volta sembra fare sul serio. Se l’attesa per How the West Was Won era durata un’eternità, restituendo una inaspettata seconda vita artistica per l’ex voce degli Only Ones, Peter Perrett, oggi Humanworld è l’album che ribadisce come il rocker inglese sia perfetttamente consapevole dei propri mezzi e di nuovo proiettato dentro questo mondo. Si tratta davvero di una riscoperta sorprendente per esuberanza, una possibilità che, ne siamo sicuri, non andrà sprecata, completando quella carriera che sembrava perduta per sempre nella discesa umana delle sue dipendenze, e infine riconquistata con canzoni degne del loro nome.

Ci sono ancora i figli Jamie e Peter Jr al suo fianco, rispettivamente chitarra e basso, un guscio protettivo familiare più che una rock’n’roll band, costruita in casa passandosi il testimone e l’energia di un tempo, completata poi da Jake Woodward alla batteria e Lauren Moon alle tastiere. Ci sono soprattutto una manciata di canzoni che non avranno forse il facile effetto sorpresa del citato How The West Was Won, ma mantengono quella solidità elettrica, quella immediata stringatezza sonora che aveva guidato il miracolo della resurrezione di Perrett. Il fatto è che non ha nulla da dimostrare in Humanworld, semmai la libertà di farsi trascinare dal suo sarcasmo pungente e da una sensibilità romantica che si alternano tra commento politico e affetti amorosi, affilando la lingua in War Plan Red e Master of Destruction (qui in combutta con il co-autore del brano, il figlio Jamie) e abbandonandosi quindi alle confessioni più sincere del singolo Heavenly Day. Sono la fotografia di un musicista che ha visto e attraversato l’inferno personale, ma conscio delle sue colpe ha trovato la chiave per un’esistenza che è prima di tutto un riscatto artistico: a dimostrarlo ci sono le vibrazioni psichedeliche che trafiggono la scura pasta post punk di I Want Your Dream, partenza con il botto che pare evocare un Robyn Hitchcock catapultato a New York.

D’altronde, le infatuazioni di Peter Perrett sono tutte lì sul piatto, senza misteri: gli amati Velvet, i discepoli Television (le volute di Love’s Inferno, per esempio), e ancora David Bowie, il Lou Reed più sentimentale (e con un titolo come Walking in Berlin...), qualche tumulto folk rock che pare persino evocare Bob Dylan, un pop chitarristico nervoso che intreccia la gioventù punk scapestrata del nostro, regalando a questo giro brani concisi (si viaggia spesso tra i due e i tre minuti, dritti al bersaglio) dove la voce del protagonista, gloriosa nel suo profondo rumoreggiare, si avvolge in chitarre lancinanti grazie a Love Comes in Silent Street, e sfrutta stranianti cori femminili di sottofondo in 48 Crash, ma non manca di accarezzare, quasi blandire, l’ascolto con il tipico tono dolciastro della ballad in The Power is In You (la viola nella mani di Jenny Maxwell) e Carousel.

Humanworld è la dimostrazione che si può uscire dal caos umano più impossibile e rimettersi in piedi, al centro della scena. Se poi lo si fa conservando uno spirito rock così immediatamente classico eppure contemporaneo, allora siamo al limite del prodigioso.


    


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