Purple Mountains
Purple Mountains
[
Drag City 2019]

purplemountains.bandcamp.com

File Under: alternative heroes

di Fabio Cerbone
(05/08/2019)

In questi casi si dovrebbe gioire per il semplice fatto di ritrovare un autore per troppo tempo perso fra i sui deliri, depressioni, separazioni, che ne avevano minato il fisico e la mente. Con il progetto Purple Mountains però andiamo ben oltre una compassionevole riconciliazione, guadagnando tre quarti d’ora di musica e dieci canzoni che si impongono subito fra le migliori scritte in carriera da David Berman, flusso di ballate e parole che palpitano tra dichiarazioni di amori finiti, sconfitte della vita, perdite di fede, con una leggerezza e persino con punte di autentico spirito che mai ne affossano la colonna sonora. Berman resta quella sorta di confessore dell’animo più recondito dell’indie rock americano, deus ex machina dei Silver Jews, nome di punta di una scuola di pensiero anni Novanta che vedeva nella tradizione folk rock un appiglio per scompaginarne le certezze sonore, fra melodie sbilenche e malinconie a bassa fedeltà. Non a caso tutto era partito in una cameretta insieme all’amico Stephen Malkmus, prima che le strade si dividessero con i Pavement.

A dieci anni dagli ultimi dispacci, messa in soffitta definitivamente la storia artistica dei Silver Jews, Berman si è smentito, tornando all’antico amore: basta poesie e velleità da scrittore, un po’ di ordine fra le scartoffie, testi rivisti e accomodati con una nuova band alle spalle, i newyorkesi Woods, che aderiscono perfettamente alle intenzioni dell’avventura Purple Mountains. Quest’ultima suona classica e matura al primo istante: non rifletterà certo il tono “storto” e alternativo dei giorni con i Silver Jews, e forse lascerà perplessi gli estimatori ancorati al passato, ma nel sussultare del piano honky tonk e delle chitarre in fregola alternative country di That's Just the Way That I Feel ci sono tutte le ragioni per l’irresistibile agrodolce confessione che pervade l’omonimo Purple Mountains. All My Happiness is Gone canta con quell’indolente tono da crooner il nostro David, e nel miracolo di non far piangere nessuno e men che meno di tediarlo risiede il fascino dell’invenzione Purple Mountains: ci sono addirittura maliziosi slanci pop nell’utilizzo delle voci e i colpi di synth si adattano bene all’anima rock della ballata, formula ripetuta in chiave quasi dylaniana con il brillante “piagnisteo” folk rock di Darkness and Cold, una delle tante cronache sul rapporto interrotto con la moglie Cassie.

Armoniche, pedal steel, pennellate di tromba dipingono di tradizionalismo americano queste canzoni, ora raggiungendo tensione e ironia in un colpo solo con la strepitosa fotografia di Margaritas at the Mall, ora adagiandosi fra le volute country svogliate di She's Making Friends, I'm Turning Stranger (un titolo che sarebbe piaciuto a George Jones) e quelle beffardamente nashvilliane di Maybe I'm the Only One for Me. La grazia elettro-acustica di Snow Is Falling in Manhattan e Nights That Won't Happen fanno emergere il cuore newyorkese dei Woods e paiono una conversione sulla via del Lou Reed sentimentale di Coney Island Baby, mentre il riff sbarazzino di Storyline Fever esalta la poetica del “tracollo personale” affrontata spesso con caustica ironia da Berman. Il ritorno di fiamma più inatteso del 2019.


    


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