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Mdou Moctar
Afrique Victime
[Matador 2021]

Sulla rete: mdoumoctar.com

File Under: african trance rock


di Pie Cantoni (15/06/2021)

Una chitarra distorta col sottofondo di suoni rurali di un’Africa sperduta e ancora lontana dalla modernità come la interpretiamo noi: è così che Mdou Moctar apre il suo nuovo disco Afrique Victime, sesto lavoro da studio dell’artista di Agadez, Niger. Chismiten, il brano di apertura, presenta tutti i tratti caratteristici della musica tuareg moderna, dalle scale modali ai ritmi ipercinetici e sincopati con i quali siamo soliti identificare quel genere di “desert rock” che, dai Songhoy Blues in su, da qualche anno a questa parte sta prendendo sempre più piede anche a latitudini più vicine alle nostre. Mdou Moctar è un chitarrista nigerino, fra i primi ad adattare la musica tuareg alla chitarra elettrica (che lui suona da mancino). Autodidatta ed eclettico come musicista, votato al noise, possiede un suono chitarristico carico di riverberi e distorsioni che amplificano l’effetto “trance” della sua musica, mentre i suoi testi sono principalmente meditazioni poetiche sull’amore, la religione, i diritti delle donne, la disuguaglianza, e lo sfruttamento dell’Africa occidentale per mano delle potenze coloniali.

Il suo stile è influenzato tanto dalla musica tradizionale quanto da alcuni chitarristi moderni, in particolare da Eddie Van Halen, che lui ha studiato seguendo i video su Youtube. Ma in questo disco non tutto è volume e distorsione: Tala Tannam (che significa “le tue lacrime”) è infatti in gran parte acustica con una melodia semplice ed ipnotica, che gira in modo ossessivo sugli stessi ritmi fino a diventare quasi stordente. Mdou rende omaggio ad uno dei suoi eroi, Abdallah Ag Oumbadagou, musicista e rivoluzionario del Niger, nelle canzoni Habibti e Layla. Abdallah, contemporaneo dei Tinariwen, è stato il pioniere della musica con la chitarra Tuareg combinata con drum machine e suoni elettronici. Asdikte Akal alza ancora il volume e la distorsione e, con il suo ritmo dispari, come tutta la musica africana, ci lascia sempre un senso di smarrimento e disorientamento, noi poveri occidentali abituati a ritmi semplici e per lo più pari. La stessa title track del disco, Afrique Victime, che inizia con Mdou che intona un canto che potrebbe essere quello di un muezzin durante il richiamo dei fedeli, riprende sempre con il ritmo serrato e le chitarre distorte che contraddistinguono lo stile del musicista nigerino, mentre il canto solista iniziale si trasforma in un canto corale e la chitarra alla fine del brano diventa un grido lancinante carico di saturazione.

Assieme a Moctar suonano Ahmoudou Madassane, alla chitarra, Souleymane Ibrahim, alla batteria, e il newyorkese Mikey Coltun, al basso ma anche in veste di produttore e manager. Nove brani in tutto, di cui anche uno riempitivo, compongono un disco che è stato faticosamente registrato nel 2019 e che ha visto, per cause disparate, la luce solo due anni dopo. Al di là delle considerazioni politiche relative a quanta colpa dello sfruttamento economico e della totale instabilità sociale dell’Africa sia dovuta alle potenze occidentali (ora anche orientali) e quanta di questa colpa sia dovuta aanche a corruzione, guerre, violenze etniche, negligenze tutte endemiche (e forse anche di quanto si possa continuare a piangersi addosso senza fare nulla), il disco rimane un buon esempio di quella musica dell’Africa che i venti del Mediterraneo da un po’ di tempo a questa parte stanno portano verso il nostro continente.

Ali Farka Touré o Tinariwen non nascono dietro l’angolo e sarebbe interessante vedere una di queste giovani promesse, come Mdou Moctar, osare di più anziché nascondersi dietro il paravento della tradizione africana, perché è proprio là dove Mdou dispiega le sue qualità migliori che il suo lavoro si fa più interessante.


    


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