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Chris Forsyth
Evolution Here We Come
[No Quarter/ Goodfellas 2022]

Sulla rete: thechrisforsyth.com

File Under: New York's underground


di Fabio Cerbone (22/09/2022)

Da un musicista cresciuto artisticamente nella culla dell’avanguardia rock newyorchese ci si potrebbero aspettare scelte men che mai coraggiose e stimolanti? Chris Forsyth, chitarrista originario di Philadelphia, ma connesso strettamente con la scena sperimentale di Brooklyn e più in generale con quel mondo al confine tra moderno underground americano, art rock e improvvisazione psichedelica, ha una discografia “complicata” e ricca di ramificazioni, avendo pubblicato in passato per etichette inappuntabili come Paradise of Bachelors e Northern Spy. Il tratto che unisce tutto è quella naturale attitudine alla condivisione, per chi come lui è portato a incrociare le sue idee musicali con colleghi dalle più disparate provenienze.

Alunno di Richard Lloyd dei Television, affascinato tanto dalle trame più elettriche quanto dalle evoluzioni del folk lisergico di fine sixties, il nostro protagonista si è creato un seguito in casa No Quarter, realizzando tre dischi con il progetto Chris Forsyth & the Solar Motel Band, a partire da Intensity Ghost del 2014, tornando infine sui passi solisti con il qui presente Evolution Here We Come. Sette brani in prevalenza strumentali, ma con due sorprese al centro della scaletta, direttamente dalla voce dello stesso Forsyth, più in generale un viaggio interstellare che parte sulle ritmiche pulsanti e kraut rock di una Experimental & Professional degna seguace del verbo Can, con la presenza dei sintetizzatori di Marshall Allen della Sun Ra Arkestra, e si chiude attraversado i quattordici minuti spaziali di una sintomatica Robot Energy Machine.

Nel mezzo una ricerca sullo strumento chitarra che non eccede mai in protagonismi inutili, ma cerca piuttosto orditi, viluppi e dialoghi fra i diversi collaboratori chiamati in studio, dalle presenze rivelatrici di Douglas McCombs (Tortoise) al basso e di Ryan Jewell (già con Ryley walker e Rose City band) alla batteria fino ai ricami del polistrumentista Dave Harrington, diviso fra piano, organo e pedal steel. L’impasto è melodico e sperimentale al tempo stesso, attraversando territori rock anche convenzionali, come accade in Heaven for a Few, ma affiancandoli a fughe verso l’ignoto psichedelico, dallo stridulo riff di una Bad Moon Risen ancora avvolta da un incedere ritmico cosmico, alla più estatica Long Beach Idyll, con tanto di flauto e riverberi accentuati dalle chitarre stesse, che immaginiamo affascinerebbe il citato collega Ryley Walker, nome che in più di un’occasione qui sovviene come parallelo artistico.

Un paio infine, come anticpato gli episodi cantati, che entrambi collocati al centro dell’album spezzano favorevolmente l’ambientazione più avanguardistica dell’intero disco: You’re Going To Need Somebody, con la partecipazione di Linda Pitmon ai cori (e fa capolino anche Steve Wynn), è un scintillante brano dalle rifrazioni garage rock, che traccia una linea sull’orizzonte che va dai Grateful Dead ai Television, mentre la più enigmatica Hey, Evolution abbraccia il nuovo folk rock psichedelico che in queste stagioni ha avuto tra i suoi migliori ambasciatori Steve Gunn.

In equilibrio inviabile tra ricerca strumentale e classicismo rock, Evolution Here We Come è un disco che dispiega tutto il suo incanto.


    


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