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Eli Paperboy Reed
Down Every Road
[Yep Roc 2022]

Sulla rete: elipaperboyreed.com

File Under: country got soul


di Fabio Cerbone (07/05/2022)

Questo è un colpo basso, e per giunta di quelli ben riusciti! Lasciati da parte i sogni di gloria pop che sembravano in parte avere compromesso il gesto soul più autentico di questo “shouter” dei nostri giorni, Eli Paperboy Reed ha riscostruito pazientemente la sua carriera in casa Yep Roc, prima riprendendo i fili dei suoi eterni amori musicali, quindi cogliendoci letteralmente di sorpresa con la pubblicazione di questo Down Every Road. Fin dalla copertina studiata nei minimi dettagli per richiamarne l’immaginario, anni di "rivoluzioni country" da Bakersfield, California, l’album è un tributo all’eredità musicale del gigante Merle Haggard, dodici perle colte dal suo vasto catalogo in casa Capitol (gli anni migliori dell’autore, tra la metà dei Sessanta e la fine dei Settanta) e riverniciate a nuovo dagli accesi colori southern soul che innervano la voce e lo stile di Reed.

L’effetto è sorprendente e dinamico nel suo abito vintage, come se i fuorilegge del country si fossero fatti un viaggio giù a Muscle Shoals, staccando poi un biglietto per Memphis e un contratto fiammante con la Stax. Vasi comunicanti da sempre quelli della sweet soul music e del country, intrecci che da Solomon Burke a Ray Charles, giusto per ricordare due maestri, hanno sempre messo a confronto mondi solo in apparenza distanti, in verità nati nello stesso alveo della tradizione americana del Sud, Eli Paperboy Reed ne riprende il discorso scartando di lato e cogliendo nel canzoniere di Haggard, ribelle californiano che ha tracciato il solco del movimento “outlaw” e non solo, un mix di romanticismo e immediatezza dei sentimenti che è l’ideale per queste interpretazioni. La molla è scattata, come prevedebile, in tempi di stop forzati e pandemia, quando Reed ha registrato in solitaria per poi riunire una band rodata all’Hive Mind Recording di Bushwick, New York, ma senza mettere a disposizione dei musicisti il paragone con i brani originali.

L’approccio “alla cieca” è stato risolutivo, facendo cambiare totalmente pelle e mood a queste incisioni, che dai classici più riconosciuti (l’apripista, irresistibile, Mama Tried, il gioello di ballata Silver Wings o l'inno blue collar Workin’ Man Blues rivisto in chiave swamp) agli accorti ripescaggi di gemme nascoste, suonano spumeggianti per capacità di interpretazione e adesione degli arrangiamenti al clima sourhern soul di un’epoca lontana. E allora è come sentire Wilson Pickett e Otis Redding (magari con una vampa di funk alla James Brown) irrompere dentro le stanze di un bordello country e mettere tutto sottosopra. L’eccitazione di I’m Bringing Home Good News libera l’urlo di Eli, mentre la sezione fiati si surriscalda; Somewhere Between, One Sweet Hello e If We Make It Through December sono il paradiso della ballata country soul; It’s Not Love But It’s Not Bad un sussulto continuo di groove, cori e fiati per quella che resta la meraviglia dell’intero disco; infine la nota dichiarazione da outlaw di I’m a Lonesome Fugitive il momento che sembra conservare più legami con la versione di partenza di Haggard.

Il quale, possiamo solo ipotizzare vista la scomparsa, si sarebbe divertito un mondo davanti all’iniezione di spavalda energia che Eli Paperboy Reed ha riservato alle sue canzoni, svelando un sorriso compiaciuto sul finale guancia a guancia di Today I Started Loving You Again, duetto di Reed con Sabine McCalla che chiude un tributo irresistibilmente retromaniaco, dal suono pulsante e curato nei minimi dettagli d’epoca, ma soprattutto capace di regalare gioia e condivisione, con uno scorcio di american music del quale non smetteremo di sorprenderci, per i mondi e le storie che riesce a far collidere fra loro.


    

 


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