Steve Gunn
Way Out Weather
[
Paradise of Bachelors/ Audioglobe
2014]

www.steve-gunn.com

File Under: psych folk, cosmic american music

di Fabio Cerbone (01/10/2014)

La musica di Steve Gunn contiene una vena di mistero e ambiguità, un po' come quella strana "scultura" di detriti che riempie la visuale del paesaggio in copertina. Anche il titolo gioca con l'estetica della terra, parlando apparentemente del tempo, tuttavia a modo di metafora dei sentimenti e spesso in maniera quasi eterea, nello scorrere delle diverse canzoni. Ricorrono senz'altro elementi naturali in questi episodi, tanto che definire Way Out Weather la svolta "cosmica" nella musica di Steve Gunn non è una forzatura, anche perchè quel termine richiama un'attitudine particolare che ha alimentato una precisa corrente del folk rock americano. Ci cadono dentro a mani basse queste composizioni, le più ambiziose e al tempo stesso lineari della sua produzione discografica, una svolta coraggiosa che espande le sonorità del passato verso mantra elettrici, ballate dal carattere impressionista che allargano lo spettro degli arrangiamenti.

Il nome di questo chitarrista newyorkese, già collaboratore e amico di Kurt Vile nei Violators, è balzato agli onori della cronaca grazie a Time Off, primo disco che superava gli inizi introversi e solitari della sua tecnica allo strumento, abbracciando la psichedelia, il folk blues più freak e libero di fine anni Sessanta e li univa attraverso un ponte che conduceva all'indie rock di oggi. Non a caso, a sancire questo percorso, erano spuntate le sue collaborazioni con personaggi come Michael Chapman e Mike Cooper (quest'ultimo nome di culto dei sixties con il quale Gunn ha di recente condiviso il progetto "Cantos de Lisboa", ispirato al fado portoghese). A qualcuno sembrerà persino un disco più "facile" Way Out Weather, più immediato, per quanto possa esserlo la voce imbambolata e il canto dimesso del protagonista, eppure contiene una musica sfuggente e bellissima, che porta le radici della folk music americana nella direzione inesplorata dei territori dell'anima: dal misurato portamento della title track, avvolta da svolazzi di country psichedelico e da una malinconia agrodolce che avrebbe conquistato i Red House Painters di Mark Kozelek, al passo circolare di Wildwood e dei suoi bucolici arpeggi folk blues, Way Out Weather è un album ricco di sfumature, lievi pennellate che vanno osservate con la pazienza che richiede una musica a volte così assorta.

Dietro si nasconde un lavorio e un'intesa con la band, che sono notevolmente progredite rispetto al citato Time Off: al trio di base formato dai collaboratori di lungo corso Jason Meagher, Justin Tripp e John Truscinski si è infatti aggiunta una tavolozza di colori che letteralmente si allarga nelle mani di Nathan Bowles (banjo, batteria e tastiere), James Elkington (lap steel, chitarre e dobro), Mary Lattimore (arpa e tastiere) e Jimy SeiTang (synth e brevi inserti di elettronica, soprattutto nel brano finale), tutti musicisti con un curriculum (da Thurston Moore a Jeff Tweedy, per arrivare al citato Kurt Vilke) che sfiora i confini oggi labili tra rock d'avanguardia e tradizione. Se pensate che tutto ciò si sia tradotto in un disco cerebrale e devoto a certi sperimentalismi (forse la sola Atmosphere, la più rarefatta e impalpabile), potreste prendere un grande abbaglio. Way Out Weather vive proprio del suo splendido equilibrio tra ricerca e immediatezza, e lo si intuisce nelle melodie cristalline di Fiction e Milly's Garden, quest'ultima dischiusa ad una parte centrale di pura liberazione strumentale, nell'eccentrico accompagnamento dell'arpa di Shadow Bros, che accompagna una ballata dall'aria persino pop, per giungere alla parte più dinamica della raccolta, dall'incalzante sequenza di spirali psych-rock di Drifter all'incedere ossessivo di Tommy's Congo, un finale dove l'amore di Steve Gunn per le partiture del blues africano si intreccia ancora al largo con la psichedelia, generando una musica estatica e densa.

Una notevole affermazione per il personaggio e la conferma che ci si aspettava da un chitarrista e autore che apre nuove vie al linguaggio folk rock, senza perdere le tracce del passato.


    


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