Glen Hansard
Didn't He Ramble
[
Anti/ Self
2015]

glenhansardmusic.com

File Under: The Soul of Irish Music

di Nicola Gervasini (20/10/2015)

Sebbene sia sulle scene fin dai primissimi anni 90, in qualche modo viene da pensare a Glen Hansard come uno dei nomi più importanti del folk intimista e indie-oriented di questi ultimi anni. La sua carriera con i Frames andrebbe forse riscoperta, ma è indubbio che il salto di qualità lo abbia fatto solo nel 2006 col folgorante sodalizio insieme a Marketa Irgolva negli Swell Season, avventura chiusa solo dopo quattro anni con due album e una colonna sonora di un riuscito film all'attivo. E così l'esordio da solista è arrivato solo tre anni fa, con il validissimo Rhythm And Repose, disco in cui Hansard faceva un riassunto stilistico di tutta la sua carriera, dimostrando una maturità nel produrre folksongs intime e toccanti da vero fuoriclasse.

Didn't He Ramble arriva tre anni dopo, e se da una parte lo conferma come autore importante e artista di punta della musica irlandese, comincia però a far capire che la sua fase di decollo è pressoché finita, e siamo giunti alla velocità di crociera. Il menu non cambia rispetto all'album precedente: ballate indie da ascoltare in silenzio (l'intensa Wedding Ring), il grande amore per la musica d'autore americana (ascoltate Winning Streak e vi sembrerà di essere nel pieno di un disco di Amos Lee), il soul serpeggiante che non manca mai in una qualsiasi produzione di marca Irish (il crescendo gospel di Her Mercy), le ballate tradizionali della sua verde terra (McCormack's Wall). E si riparte sullo stesso tema nella seconda parte: ancora tradizione con il duello tra violini e fiati di Lowly Diserter, una lenta Paying My Way che promette - ma non mantiene troppo - intense emozioni, mentre è solo con My Little Ruin che ritorna il tono un po' tragico dell'era Swell Season, con un "wall of sound" finale da brividi in cui manca soltanto l'intervento della Irgolva. Restano ancora una leziosa Just to be the One che fa il verso a certi soft-folk-pop da primi anni zero alla Kings Of Convenience, e un finale solo voce e chitarra per la riflessiva Stay The Road.

Resta da dire del brano iniziale, una Grace Beneath The Pines che ha un titolo che più vanmorrisoniano non si può, e che svela subito dove il nostro vuole arrivare: diventare il Van Morrison degli anni futuri, il nuovo punto di riferimento per qualsiasi giovane irlandese che voglia imbracciare una chitarra acustica. Fatte le debite distanze (ma le farebbe anche lui), Didn't He Ramble è in fondo il disco che oggi vorremmo sentire anche dal vecchio leone di Belfast: classico, quadrato, ma ancora vagamente curioso e pieno di anima. Per contro, comincia a serpeggiare anche tra le righe di Hansard un certo appagamento che ancora non fa scattare allarmi rossi, ma che potrebbe diventare un problema nei prossimi capitoli. Sperando sia solo una vaga sensazione, godiamoci comunque il presente di un grande artista.


    


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