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Indiana just di
Gianuario Rivelli (02/02/2015)
Premi
play e ti sembra il nuovo disco dei Wilco, solo con un Jeff Tweedy dal canto più
baritonale e con gli archi che hanno scalato posizioni. Arrivi alla terza traccia
e pensi che nelle cuffie ci siano The National, magari un po’ più cupi e inquietanti
del solito. Passi la metà e ti ritrovi un gruppo country-folk piuttosto convenzionale.
Potresti uscirne frastornato e pensare di essere di fronte a una band soltanto
derivativa, a corto di idee originali, che scopiazza qua e là quel che le sembra
più à la page. Niente di più sbagliato: Murder by Death sono una formazione
ormai consolidata da 15 anni di carriera, con una maturità artistica e una chiarezza
di idee che gli permette di spaziare tra i generi e rinnovare il loro suono, sconfinando
in territori che parevano alieni.
Big Dark Love dice a gran
voce che la band dell’Indiana è in piena forma tanto da potersi permettere con
disinvoltura un sound all’ultima moda, con un perfetto bilanciamento tra tradizione
e stilemi indie rock. In questo loro ultimo lavoro, autoprodotto insieme a Kevin
Ratterman, aperture pop, lampi di luce, sbandate elettriche, persino suggestioni
british guadagnano terreno a scapito di goticismi e sprofondi che comunque non
spariscono del tutto, creando come si diceva un cocktail tanto ardito quanto riuscito.
L’amore, perno tematico dell’album, è fotografato da angolazioni non convenzionali.
Nella magnifica title track è cupo, quasi minaccioso: parte come una ballata oscura
e insinuante, continua con le sue spire di fumo che ti avviluppano inesorabilmente,
termina in un pesante clima neo psichedelico. Più luminoso è nella doppietta iniziale
di sorprendente e colorato indie rock: I Shot an Arrow,
melodia sghemba cucita perfettamente da un gran lavoro di tromba e piano (entrambi
appannaggio del polistrumentista David Fountain) e Strange
Eyes, il brano più pop ed arioso del lotto che si apre ad un climax
elettrico ed esuberante che profuma tanto di Wilco.
Gli agganci con loro
passato sono rappresentati da Dream in Red,
loro versione di murder ballad e da Hunted, in cui riemerge la loro antica
passione per il western: tra Morricone e Cormac McCarthy, la voce di Adam Turla
è prima soffocata, poi si fa tonante quando il violoncello di Sarah Balliett fa
aumentare la temperatura di questo piccolo film in musica su un uomo braccato.
Altro gioiello è Send Me Home, preghiera laica
di un uomo in fin di vita che chiede di essere lasciato andare e che ha l’afflato
mistico del Boss di The Rising: Turla ad ugola aperta cavalca note di malinconia
e speranza come pochi oggigiorno saprebbero fare. La loro abilità nel confezionare
midtempo roots di presa immediata è ribadita dalla pulsante It Will Never Die
e da Solitary One, esaltata dagli intrecci
tra tromba e violoncello. E il country quasi ortodosso di Last Thing e
Natural Pearl, pur impeccabile e godibile, non aggiunge poi così tanto a tale
parata. Non lasciatevi intimorire dal nome funebre e dalla splendida copertina
decadente: Big Dark Love è un ottimo disco di una band eclettica, ispirata, moderna
e tradizionale al tempo stesso. Se vi sembra poco...