Case/ Lang/ Veirs
Case/ Lang/ Veirs
[
Anti/ Self
2016]

www.caselangveirs.com

File Under: folk divas

di Fabio Cerbone (02/07/2016)

Tre semplici cognomi, tre voci che a modo loro hanno segnato un percorso singolare dentro la canzone americana al femminile di questi anni. Quasi inevitabile un loro incontro? Non era così scontato l'esito artistico fra Neko Case, k.d.lang e Laura Veirs, anche se ciascuna nel suo campo si è distinta per un approccio non convenzionale alla materia country folk da cui provengono, un terreno comune sul quale potevano studiarsi a vicenda e trovare punti di unione. Di fatto case/lang/veirs è una collaborazione riuscita perché nella fotografia d'insieme conserva la forza delle singole personalità, ma suona in tutto e per tutto come un progetto nuovo e non una accozzaglia di prime donne, gelose del loro raccolto.

Si sono messe in gioco, hanno condiviso canzoni e stili, trovando nella produzione di Tucker Martine il collante sonoro: sofisticata e cristallina al tempo stesso, con gli arrangiamenti per archi a cura di Stephen Barber e suonati dal Tosca String Quartet, i morbidi tappeti pianistici di Rob Burger e persino la ritmica di Glen Kotche (Wilco). Un intreccio di carezze pop barocche e oscurità folk, di eleganza acustica e modernità melodica, nel quale le protagoniste hanno potuto adattarsi "servendosi" l'una dell'altra. La storia comincia a Portland, quando k.d.lang, la più navigata autrice del trio, appena trasferitasi in città, entra in contatto con Laura Veirs e Neko Case, suggerendo una collaborazione. Le ultime due sono già amiche per la pelle, una stima reciproca che faceva bella mostra nel precedente lavoro della Veirs, Warp and Weft, prodotto guarda caso da Martine.

Ogni pezzo del puzzle si ricompone quindi, e case/lang/veirs prende forma con quattro brani scritti appositamente dal trio in questione - l'enfasi introduttiva di Atomic Number, con la voce della Case a trascinare le compagne, le più lievi e folkie Behind the Armory e I Want to be Here, una rutilante Delirium, che si colora di riverberi sixties - altri invece composti in coppia, alternandosi nel ruolo di solista, e infine altrettanti quattro episodi usciti dalla sola penna di Laura Veirs, che in un certo senso sembra essere il trait d'union più efficace di questo disco, oltre che la più generosa in termini di songwriting. Lo sbocco è rappresentato da dense ballate che affrontano temi privati fra creatività e amore, riflessioni sulla stessa condizione di artiste e un particolare omaggio che spicca sul resto, il delicato bozzetto di Song for Judee, dedicata da Laura Veirs alla musa Judee Sill.

Calate in un'atmosfera apparentemente un po' glaciale, queste canzoni svelano piccoli dettagli di volta in volta illuminanti: facile innamorarsi al primo colpo del brillante folk rock di Best Kept Secret, che ha il piglio del singolo perfetto con il suo ordito di fiati, archi e solari chitarre byrdsiane, ma con un briciolo di pazienza arriverà dritta al cuore anche il vellutato pop da crooner di k.d.lang, che non si smentisce in episodi quali Blue Fires e la soffusa Why Do We Fight, così come i riflessi da "dama nera" di Neko Case, irresistibile in Supermoon, sospesi nella ritmica intrigante e spezzata dell'ammaliante arrangiamento di Down I-5.

La rara bellezza delle armonie vocali, la naturalezza con cui si incontrano e al tempo stesso la profondità studiata dei suoni di Tucker Martine rendono case/lang/veirs un album dove grazia e passione riescono a mantenersi in perfetto equilibrio.


    


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