La
Blue Rose li annuncia orgogliosamente come "il supergruppo di casa", formazione
che nobilita l'etichetta tedesca con una formula che evoca gli anni Settanta perduti
e un'epoca di collaborazioni stellari. Ovviamente qui di stelle di prima grandezza
non vi è alcuna traccia e la definzione è forse più ironica che altro:
lo sanno gli stessi Us Rails, che hanno la faccia da bravi gregari del
rock'n'roll, assuefatti alle regole del music business e consapevoli del loro
ruolo marginale. Ciò non significa che non si siano tolti qualche soddisfazione:
in tour perenne, con un seguito di culto in mezza Europa, tre dischi di studio
alle spalle e persino un live, la band di espatriati americani ha nel frattempo
perso per strada un pezzo - l'amico e fondatore Joseph Parsons - ma si è rinsaldata
nella formula a quattro con Ben Arnold, Scott Bricklin, Tom Gillam e Matt Muir.
Tutti o quasi titolari di una carriera solista e di collaborazioni sparse,
qualcuno anche sfiorando i piani alti delle major discografiche, prima di tornare
nell'indipendenza: conoscono insomma le regole del mestiere e sanno scrivere canzoni
con il senso della storia del rock nelle vene. Che tutto questo riesca ad elevare
la loro musica dal calderone generico dell'Americana o di quel rock dai profumi
provinciali è un altro discorso. Ivy non fa che confermarlo, scivolando
fra dieci canzoni che sono un bigino di certo rock americano da strada maestra
diviso fra melodie West Coast, umori sudisti e pennellate soul. Tutto con l'impressione
di essere di seconda mano, un po' rimasticato, seppure con un gusto artigianale
da autori di "serie b" che vendono cara la pelle. Difficile non azzardare un sorriso
su Way of Love, Gonna Come Sunshine e
Not Enough di Ben Arnold, oppure quando entra
in circolo la voce di Gillam in Colorado e
He's Still in Love With You, con ogni probabilità i più dotati a livello
di scrittura nel quartetto (Muir si limita alla batteria e si ritaglia il ruolo
di produttore).
Volendo giocare con gli stili si potrebbero anche facilmente
riconoscere le singole anime: Scott Bricklin è quello più incline alle trame Americana
(Trouble Gonna Be) e con una predilezione
per Tom Petty, Ben Arnold sfrutta le sfumature soul della voce e rincorre John
Hiatt, Tom Gillam infine ci mette un briciolo di aggressività southern rock e
di vibrazioni settantesche. Detto così pare un gran sentire, ma cadiamo semmai
in un limbo di gradevole maniera dove scrivere una canzone di genere (da Declaration
a I've Got Dreams, uno-due finale che spiega tutto il meccanismo) è un
gioco da ragazzi, ma lascia poche tracce di sé. D'altronde anche la copertina
di Ivy non è esattamente un invito a nozze: un po' buttata via, passa inosservata
e la musica degli US Rails purtroppo ha gli stessi difetti.