The Orphan Brigade
Heart of the Cave
[Appaloosa/ IRD 2017
]

theorphanbrigade.com

File Under: folk songs form the underworld

di Fabio Cerbone (02/10/2017)

Nelle viscere della terra, alla ricerca di misticismo e spiritualità, di storie che sappiano echeggiare il tempo passato e i suoi riflessi dentro le nostre anime. The Orphan Brigade si conferma un progetto originale, che al linguaggio del folk unisce un percorso tematico denso, con ambizioni che questa volta lo trascinano lontano dal cuore dell'America per approdare addrittira fra le grotte di Osimo, Italia centrale. Heart of the Cave nasce infatti nella nostra terra, fra la sua cultura millenaria e una religiosità che può appartenere soltanto a certi luoghi. L'immagnario e il teatro di scena dell'album sono i cunicoli sotto la cittadina marchigiana, nei secoli rifugio per frati e mistici, per carbonari e massoni, combattuti fra terra e cielo, fra angeli e demoni, fra tradizione ed esoterismo.

Dopo l'ambizioso viaggio del precedente Soundtrack to a Ghost Story, disco rivelazione che si metteva sulle tracce dei fantasmi della Guerra Civile americana, e di una casa che ne racchiudeva tutto il senso della tragedia umana, Ben Glover, Joshua Britt e Neilson Hubbard, trio di songwriter alla testa di una dozzina di musicisti riuniti sotto la definizione The Orphan Brigade, hanno stabilito una linea priviligiata con l'Italia dopo un fortunato tour a queste latitudini. Heart of the Cave ha dunque preso forma e suono nei sotteranei di Osimo, dove in buona parte è stato inciso, seguendo un labirinto di vita e morte, di mistero e rivelazione nel quale le leggende e le testimonianze locali (Flying Joe è la storia del santo patrono Giuseppe da Copertino, celebre per le sue levitazioni in fase di estasi mistica) sono diventate una scusa per proiettare sensazioni di natura personale. Si comincia con il mucchio di ossa di Pile of Bones, spiazzante discesa a patti con il discorso sulla mortalità dell'uomo, e si attraversano ballate dal tono corale ed epico, abbracciando a tratti un'intensità cupa e austera (i rintocchi di The Birds are Silent).

A livello sonoro The Orphan Brigade ribadiscono una formula essenzialmente acustica e folkie, dove mandolini e pianoforte spesso dettano la danza delle melodie, e che si ammanta tuttavia di echi Americana e celtici degni dei migliori Waterboys (in cui giocano un ruolo le origini di Ben Glover), di una ricerca collettiva sulle voci evidente già in Town of a Hundred Churches e Osimo (Come to Life) fino a toccare tonalità quasi enfatiche in Alchemy e un retrogusto pop in The Bells Are Ringing, come se The Orphan Brigade volessero adattare le lezione di Mumford & Sons o degli Arcade Fire più folkeggianti al nuovo mondo delle roots americane di questi anni. Solo suggestioni, e forse una scelta stilistica che riflette la stessa natura un po' ascetica dei brani, peraltro sempre affascinanti nella tessitura creata da Neilson Hubbard in veste di produttore (Vitriol, acronimo del motto degli alchimisti "visita interiora terrae rectificandoque invenies occultum lapidem; la commovente Pain is Gone; There's A Fire That Never Goes Out) e accresciute dai contributi di collaboratori quali Gretchen Peters e Will Kimbrough.

La forza del disco, al tempo stesso somigliante e insolito rispetto al "gemello" Soundtrack to a Ghost Story, è nel suo tenersi in equilibrio fra luce e ombra, come se queste canzoni nate sotto terra cercassero infine un'uscita verso il mondo.


    


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