Black Joe Lewis
Backlash
[Black Joe Lewis
2017]

blackjoelewis.com

File Under: garage funk rock

di Fabio Cerbone (09/03/2017)

Black Joe Lewis e combriccola al seguito hanno imparato a suonare. Potremmo sintetizzare con questa battuta il nuovo corso di Backlash, un disco che non rinnega nulla della sporcizia garage soul grazie alla quale il talento della black music di Austin si era fatto notare agli esordi, ma la declina con più precisione e malizia, cercando spesso il riff accattivante, l'arrangiamento più rotondo ed efficace, oltre a una palese attitudine rock che contamina ogni singolo episodio del del disco. Il confronto immediato è con il passaggio più rozzo ed eccitante della sua discografia, quattro dischi e un ep a partire dalla rivelazione Tell 'Em What Your Name Is! nel 2009, quell'Electric Slave che abbondava di fuzz, bassi poderosi e r&b ripassato nella carica punk e nei juke joint più sudaticci del Mississippi.

Ripresa la sigla Honeybears (ma non in copertina), band di supporto che Black Joe Lewis non ha mai davvero abbandonato, Backlash è esattamente un "contraccolpo" che vive del botta e risposta tra le chitarre dello stesso leader e di Michael Brinley e la sezione fiati guidata da Derek Phelps (tromba) e Joseph Woullard (sax baritono), lì dove James Brown incontra gli Stooges e gli Stones improvvisano una jam con Sly Stone, fino a lasciare le briglie sciolte nella coda finale di Maroon, sei minuti con strascico di riverberi e psichedelia in salsa soul. Una breve sintesi, crediamo la più efficace possibile, per distinguere i punti cardinali che guidano il percorso di Black Joe Lewis in Flash Eyed, grasso rhytm'n'blues da cantina che pare annunciare la galoppata degli Honeybears, prima di risolversi nell'insistente chitarra funky e fra lo scoppiettio di fiati di Sexual tension.

Qualche sostegno ai cori, che si fanno bollenti e sudisti, strumenti disegnati con linee più precise, persino uno svolazzo di archi in Lips of a Loser, ma alla radice la vocalità sgraziata del protagonosta, che resta un tratto irrinunciabile: Black Joe Lewis avrà evidenti limiti di estensione, ma il suo shouting strozzato è comunque una caratteristica che gli evita la condanna di finire tra i troppi estetti del nuovo soul di queste stagioni. Backlash rimane un lavoro abbastanza irriverente e spaccone nei suoi incalzanti ritmi funky rock (Freakin' Out, un titolo che è un presagio) e messinscene garage (il pugno ben assestato di Shadow People, la frustata rock'n'roll di Prison) da non mollare così facilmente la presa. A questo giro andrebbe inoltre aggiunto quel briciolo di coscienza sociale, "black power" e orgoglio civile che in episodi come PTP, Global, Nature's Natural, quest'ultima con impronta da classica ballata southern soul, mostra un autore con il desiderio di unire energia elettrica e pensiero politico sul mondo.


    


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