Simone Felice
The Projector
[
New York Pro/ Goodfellas
2018]

simonefelice.com

File Under: songs of love and tragedy

di Fabio Cerbone (06/08/2018)

Quarantadue anni il prossimo autunno, una vita che gli ha riservato colpi durissimi, sia sul fisico sia all'interno degli affetti familiari, Simone Felice riversa queste esperienze dentro un songwriting dalla potenza evocativa fuori del comune. Senza mai scadere in banalità sentimentali o facili immagini da artista maledetto, Felice scava semmai tra le metafore, fra picchi di crudeltà e tenerezza, suscitando dettagli tratti dall'esperienza personale e accostandoli a riflessioni più universali. Così nascono canzoni che alternano luci e ombre, delicatezze acustiche ed esplosioni gospel, con tocchi di modernità che non rinnegano mai la radice da folksinger.

The Projector, terzo disco solista vero e proprio se si escludono le prime avventure con i fratelli nei Felice Brothers (ne era il batterista) e il progetto Duke and the King, è il lavoro più intenso, scuro e tematicamente impegnativo della sua carriera, un album di una violenza emotiva pari alla fragilità delle melodie, ballate disadorne e dai tratti essenziali sulle quali si inseriscono pochi mirati interventi delle tastiere dell'ospite Four Tet e del fratello James (anche all'accordion). Al resto pensa Simone Felice, la sua voce in bilico fra confessione e drammaticità, così come emerge già nello splendido uno due iniziale costituito dalla stessa The Projector e The Fawn, alle seconde voci Natasha Khan (in arte Bat for Lashes) e Rachel Yamagata, in un crescendo emozionale. È evidente che ci troviamo di fronte all'opera più intima della sua produzione, quella dove tutto emerge senza filtri, a nudo il suo songwriting e altrettanto i riferimenti biografici, che qui si possono cogliere in alcuni passaggi di Angel by My Side o You Shall Be My Eve (If the angry sea shoould rise/ just let me drown in your eyes).

La musica insegue la stessa indole, spesso asciugando ogni particolare fino a toccare il solo binomio chitarra e voce in Hustler e War Movie, con velate trame acustiche in Your Hands e un pianoforte dall'anima soul che si affaccia in To Be You, To be Me. Troppo semplice eppure inevitabile scomodare il Nick Cave di The Boatman's Call, e ancor di più il fantasma di Leonard Cohen, che pure sembra un'ingombrante figura di riferimento, non fosse altro per le ambizioni di Simone Felice come scrittore e poeta, suoi primi amori artistici quando arrivò a New York dalle zone rurali delle Catskills Mountains. E guarda caso una coraggiosa traccia di spoken word, vera e propria dichiarazione d'amore per il potere della poesia, è inclusa nel disco, quella They'd Hang Upon My Every Word che appare come un breve ritratto di vita, combattuta fra il desiderio di riconoscimento altrui e la bellezza innocente di una passione senza compromessi.

Scelta coraggiosa eppure necessaria, che in fondo denota il carattere di Simone Felice e della sua idea di fare musica: è persino diventato un produttore molto affermato (Lumineers, Bat for Lashes, Vance Joy), ma alle sue canzoni pare riservare una protezione particolare, perché non perdano la veemenza dei loro versi.


   


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