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southern roads di
Fabio Cerbone (01/09/2018)
Immagine
sfuocata, ritratto nella natura verde lussureggiante di qualche zona boschiva
del Deep South, Kevin Gordon riafferma il suo ruolo di storyteller di vecchio
stampo, cuore sudista che raccoglie l'eredità non solo musicale ma anche lettereraia
della sua terra, egli stesso nativo della Lousiana. Abbiamo più volte sottolineato
la cifra poetica e il taglio narrativo, a seconda dei casi, di questo musicista
poco considerato, costretto ad una ostinata autoproduzione, quando nomi ben più
strombazzati dell'Americana raccolgono onori spesso esagerati.
Gordon
ha la pelle dura, sa delineare caratteri, versi e scorci di una mitologia southern
figlia di William Faulkner, senza scadere nei luoghi comuni e con accenti grezzi
ed elettrici che sono la quintessenza di questa tradizione. Purtroppo resta confinato
ai margini, forse anche per scelta personale, nonostante le collaborazioni con
Lucinda Williams e Levon Helm spesso citate nelle note biografiche, la fortuna
di avere avuto sempre la critica dalla sua parte (e con nomi che contano come
Peter Guralnick, per esempio) e buon ultimo una produzione che ha mantenuto fermo
uno stile riconoscibile. Tilt and Shine è solo l'ultimo tassello
di questo grande puzzle sudista, più rock'n'roll nell'animo rispetto al suo predecessore
Long
Gone Time del 2015 e per ciò aprezzabile nello sforzo di tornare alle
vibranti scudisciate roots rock di inizio carriera, quando album come Cadillac
Jack's #1 Son presentavano sulla scena d'autore tradizionalista l'universo blue
collar popolato dai personaggi di Gordon.
Confermato il sodalizio con
il chitarrista e produttore Joe V. McMahan, sostenuto da una manciata di strumentisti
che sanno tenere a freno mire soliste e badare invece al groove terrigno e sgarbato
che affonda nelle radici blues, Tilt and Shine parte dallo swamp dei ricordi adolescenziali
evocati in Fire At the End of the World e
si addentra in una progressione di ballate bluesy e ossuti rock'n'roll dove il
Mississippi risale da New Orleans verso Memphis, accompagnando i brani con i santini
di JJ Cale, Tony Joe White e John Hiatt nella tasca dei pantaloni.
Saint on a Chain è il primo video e singolo scelto, ballad dai contorni
rock rotondi e stradaioli, mentre la convulsa One Road Out (Angola Rodeo Blues)
sussulta su un solo accordo e prende i sentieri del downhome blues tipico
di personaggi come RL Burnside. Quel pigro e languido mood sudista che ti aspetteresti
da un songwriter cresciuto fra i bayou staziona al centro di Gatlin
Gun e DeValls Bluff, colonna sonora ideale che potrebbe accompagnare
un film tratto dagli ultimi romanzi di Brian Panovich, nel bel mezzo della "Bull
Mountain".
Breve, colmo di groove, senza fronzoli, Tilt and Shine
nel rush finale torna alla materia rock'n'roll che gli Stones hanno imparato dagli
hillbillies americani (Drunkest Man in Town), si adagia su raconto acustico
(Rest Your Head) e saluta dal fondo di uno sterrato fangoso con le vibrazioni
rockabilly di Get It Together. American music,
fin nel midollo.