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Under: beautiful second hand songs di
Fabio Cerbone (27/07/2018)
Diavolo tentatore di un Gary
Louris, che ci attira nell'immaginario più classico da America di periferia,
con quella combinazione fra titolo e copertina (degna di un tascabile
noir), a rappresentare la quintessenza di un suono al quale ci siamo aggrappati
come un santino. Back Roads and Abandoned Motels, proprio
così, senza remore e con la faccia tosta di mettere insieme una dozzina
o quasi di canzoni pescate di "seconda mano", fatta eccezione
per due inediti nel finale. Come a dire che dall'immenso paniere dei Jayhawks,
trent'anni e passa di gloriosa storia alle spalle, c'è sempre una scorta
da cui attingere nei momenti di indecisione, in quei passaggi durante
i quali la direzione artistica non è necessariamente ambiziosa e ispirata
come in gioventù.
L'arcano è presto svelato: archiviato il più sperimentale episodio di
Paging
Mr. Proust, tentativo di rilanciare il gruppo su strade pop
rock meno avvezze alla tradizione, Louris e compagni trovano la chiave
di lettura giusta per solleticare la nostalgia di un tempo, riannodando
i fili di ballate dai colori pastello, acustiche nella forma e nella sostanza,
con tutte le sfumature country folk alla radice della loro scrittura.
Lo fanno ripescando nove brani composti spesso a quattro mani, firmati
dallo stesso Louris insieme ad altri musicisti, collaborazioni e amicizie
sparse in queste lunghe stagioni e poi donate agli album di Dixie Chicks,
Jakob Dylan, Carrie Rodriguez, Ari Hest, Wild Feathers. Il materiale torna
all'ovile quindi e affronta la cura certosina dei Jayhawks e di uno stile
che non ha perso un centimetro di smalto e classe, anche quando l'aria
che tira è un po' quella dei buoni mestieranti.
Non lo si potrà forse annovarere fra le tappe più significative della
loro produzione questo Back Roads and Abandoned Motels, non ci sono una
Waiting for the Sun, né tanto meno I'd Run Away o Tailspin
ad attenderci dietro l'angolo con i loro sobbalzi melodici che hanno sugellato
le vicende dell'alternative country, eppure dallo scintillare di Everybody
Knows e Backwards Woman, dalle trame roots con vaghi
sapori irish di Bitter End, dall'agrodolce
aroma The Band di Gonna be a Darkness
sembra sprigionarsi ancora un grande bagliore, quella capacità di Gary
Louris di accarezzare armonie perfette. E richiamare ovviamente gli
amori musicali mai sopiti della band, fra gli orizzonti west coast dei
Fleetwood Mac di una elegante apertura per fiati con Come
Cryin' to Me (alla voce la pianista Karen Grotberg, sorprendente
per eleganza) agli intrecci acustici di piano e slide guitar in Long
Time Ago (qui il canto affidato al batterista Tim O'Reagan).
Un disco dunque più corale del previsto, che lascia spazi di manovra ad
ogni singolo membro, assegnando un ruolo importante anche all'ultimo arrivato
John Jackson, essenziale con i suoi contrappunti al mandolino, chitarra
e violino. Più brillante in generale la prima ideale facciata di Back
Roads and Abandoned Motels, che alla fine non può evitare di adagiarsi
su toni da accademia (ma che accademia!), coccolare ancora il pop californiano
d'annata (El Dorado) e salutare in frenata con i citati due originali
di Louris, una amorevole e zuccherosa filastrocca intitolata Carry
You to Safety e il tepore di Leaving Detroit.