File Under:Velvet
skin di
Fabio Cerbone (02/04/2018)
Semplice
e complessa allo stesso tempo, la musica dei canadesi Nap Eyes completa
un'ideale trilogia discografica che pone la band in una posizione del tutto appartata
e originale rispetto al linguaggio indie rock contemporaneo. Le radici affondano
in un rock minimalista e sghembo che non potrà non richiamare ancora una volta
il Lou Reed più introverso e maturo (e le somiglianze della timbrica vocale di
Nigel Chapman non faranno che aumentarne il fascino), i Modern Lovers di Jonathan
Richman e qualche loro discepolo di uguale culto, The Feelies in prima battuta.
Questo per circoscrivere una volta di più uno stile e un'ambientazione sonora
che anche I'm Bad Now non riesce proprio a nascondere, quasi orgogliosamente
costruito sulle stesse dinamiche che hanno reso incantevoli e fuori tempo Whine
of the Mystic, esordio del 2014 in casa Paradise of Bachelors, e Thought
Rock Fish Scale.
La differenza questa volta la fanno le canzoni
stesse, più rotonde e trasparenti, senza perdere un briciolo dell'essenzialità
tanto cara al gruppo originario di Halifax, Nuova Scozia. In verità il solo Chapman
è rimasto a vivere da quelle parti, con Brad Loughead (chitarre) Josh Salter (basso)
e Seamus Dalton (batteria) trasferitisi in blocco a Montreal, dove il disco in
questione è stato limato nei dettagli e prodotto con maggiore disciplina rispetto
al passato. La distanza non ha spezzato l'intesa musicale del quartetto, semmai
concedendo a Chapman più tempo per rifinire le sue liriche così letterarie, dal
taglio persino filosofico, una sequenza di interrogazioni esistenziali e di risposte
elusive che indagano il giorno dopo giorno della vita accompagnandosi a quella
voce un po' indolente, sempre pronta a uscire "stonata" dai binari, eppure capace
di indovinare una melodia in modo naturale. Come i suoi maestri insomma, Lou Reed
in prima fila come padre putativo nel rock brillante di Hearing
the Bass e Everytime the Feeling,
quest'ultima che ha l'onere di aprire la raccolta rammentando certe ballate elettriche
del periodo di Coney Island baby.
Rifacimento o parodia? Niente affatto:
c'è una profondità di scrittura in Chapman e un'intesa sonora degli stessi Nap
Eyes che depone a favore dell'assoluto equilibrio raggiunto dalla band, qui sospinta
dai taglienti accordi e feedback dell'impeccabile Brad Loughead, commenti
sonori che aumentano il fascino scheletrico e basilare di questo rock'n'roll,
spesso nella forma della ballata un poco imbabolata (come capita nella stessa
I'm Bad Now o fra la nenia a tempo di walzer
di Follow me Down), altre nel caracollare elettrico di Judgment
e Roses, frammenti di un indie rock a cui servono poche pennellate di basso
batteria e chitarra per sostenere il discorso ambizioso delle liriche di Nigel
Chapman. E poi, d'improvviso, quei "disvelamenti" melodici che emergono in episodi
quali You Like to Joke Around with Me, quella
pigrizia pop degna di un Stephen Malkmus (Pavement) ridotta se possibile ancora
più all'osso, o quello stralunato rock di natura "velvettiana" che sussulta in
Dull Me Line.
Nel finale due lunghe ballate, White Disciple
e Boats Appear (quest'ultima solo nelle'edizione in cd e digitale dell'album),
procedono sornione e vulnerabili, rendendo ancora più lucida l'espressività della
musica dei Nap Eyes, una rock'n'roll band da conservare con tanta cura quanta
ne mettono loro stessi in queste canzoni.