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it's America di
Fabio Cerbone (01/03/2018)
Tempi
cupi sul suolo americano, nazione in balia di conflitti mai sopiti. Occorre una
liberazione e Grant Lee Phillips sembra crederci davvero, cantandola con
un trasporto che nel finale di Liberation alza al cielo il suo vibrante
folk rock. L'intero Widdershins è attraversato da questo desiderio
improrogabile, un album chiuso in fretta, registrato in soli quattro giorni al
Sound Emporium di Nashville con la formula del trio, insieme ai fidati Jerry Roe
(batteria) e Lex Price (basso). I riflessi si possono sentire tutti sulla tenuta
del disco, una delle opere più elettriche e densamente rock che Phillips ha concepito
da diversi anni a questa parte: mancano gli spigoli e la gioventù sfrontata dei
giorni con i Grant Lee Buffalo, ma non potremmo pretenderlo da un sonwgriter cinquantenne
che ha raggiunto la piena maturità, eppure una fiamma che brucia e ricorda quel
tempo la si può scorgere in controluce fra le canzoni di Widdershins.
In
senso antiorario, contromano in maniera ostinata, ecco il significato di questo
desueto termine inglese, che Phillips utilizza per raccontare lo stato della nazione
ma anche le sensazioni e i fatti personali che sembrano schiacciare le persone
a fine giornata, una sorta di tensione latente che accompagna tutto il lavoro
e si scaglia sull'ascoltatore forte e chiara dal principio, quando Walk
in Circles rotola impetuosa su quel sound elettro-acustico che è tornato
a guardare alla tradizione, a cominciare dal precedente The
Narrows. Rispetto agli orizzonti Americana e alle ballate crepuscolari
di quest'ultimo, Widdershins esalta gli alti e bassi della voce di Grant Lee Phillips,
quel suo costante intrattenersi fra passione e malinconia, tra invettiva e carezze.
In questo emerge probabilmente il confronto con l'opera dei mai dimenticati Grant
Lee Buffalo, che nelle trame di Unruly Mobs, della palpitante Scared
Stiff o nel mezzo delle chitarre dal tenore grungy di Great
Acceleration paiono fare capolino.
D'altronde è lo stesso Phillips
a non fare mistero di questo legame, ricordando come agli esordi della band, era
l'alba degli anni Novanta, ci fosse un'America anche in quel caso confusa e tormentata:
dalla Guerra del Golfo, dalla crisi economica, dagli scontri nelle strade di Los
Angeles. America Snoring cantava allora il nostro protagonista, oggi invece
occorre fronteggiare l'era Trump, ma senza scomodare velleitarie canzoni di protesta:
Widdershins pare muoversi su un terreno più personale, un'intimità che anche nella
forza rock trascinante di The Wilderness,
non dimentica affatto un briciolo di ironia e disincanto (Miss Betsy),
parlando dei tempi americani moderni con l'intensità struggente di una ballata
alla Grant Lee Phillips, marchio di fabbrica inimitabile, si chiami essa Totally
You Gunslinger, King of Catastrophes o Another,
Another, Then Boom.
La band ricama lo stretto necessario, il
suono resta comunque denso e riverberato dalla voce di Phillips, che giostra le
melodie di Widdershins fra chitarre e pianoforte. Semplice e complesso nel medesimo
istante, Widdershins è la conferma di un autore ritrovato, nel pieno delle sue
possibilità.