John Prine
The Tree of Forgiveness
[
Oh Boy/ Goodfellas
2018]

johnprine.com

File Under: wise old storyteller

di Fabio Cerbone (23/04/2018)

Di maestri veri e propri in circolazione ne sono rimasti pochi, questioni meramente anagrafiche, a maggior ragione in quel mondo dell'american music che anche fra le nuove generazioni guarda all'arte magica e innata del saper scrivere una canzone con poche semplici pennellate. John Prine era e rimane una figura centrale del songwriting che ha offerto una seconda via rispetto a Nashville, testimone di una irripetibile stagione di nuovi e presunti Dylan, in verità gigante del racconto americano in musica che ha sempre fatto categoria a sé. Sarà per questo motivo che oggi definirlo con l'appellativo di leggenda vivente non è affatto un'iperbole sprecata: le mille, durissime battaglie contro la malattia, il fisico e la voce minati nel profondo, tutto rende la lotta di resistenza di Prine più affascinante, annunciando un ritorno discografico atteso da ben tredici anni.

Sì, perché nel frattempo ci sono state raccolte, dischi dal vivo e duetti, ma The Tree of Forgiveness (bellissimo titolo) è sostanzialmente il primo album di materiale inedito dal celebrato Fair and Square, l'ultimo vero capolavoro, quello della maturità, del nostro John. Dieci canzoni, tempi stringati come si conviene alle opere che arrivano dritte al punto, alcune riprese dai cassetti e completate, altre riunite in stagioni recenti, The Tree of Forgiveness non chiede altro che apprezzare per l'ennesima volta la naturalità con cui Prine affronta amore e solitudine, dettagli dell'esistenza, vecchiaia e ricordi partendo dalle emozioni quotidiane, dalle eccentricità della vita, con l'occhio vigile di un narratore di razza, quello che ha sempre reso le sue ballate autentiche short stories dell'animo umano. Il passo è spesso elegiaco, qualche volta languido e più spesso rustico e informale: lo si intuisce dalla marcia country rock di Knockin' On Your Screen Door in apertura, seguita a stretto giro dal sound pacato e rootsy di I Have Met My Love Today.

È la cura di Dave Cobb, produttore Re Mida dell'Americana odierno, a tenere ogni dettaglio al suo posto, misurato, una strumentazione elettro-acustica in punta di piedi, poche rifiniture di acutiche e organo e al resto ci pensa il graffio umoristico innato di John Prine, che qui sembra tornare all'essenza del suo omonimo esordio o del successivo Diamonds and Rough. La sua voce, oggi per forza di cose più confidenziale, riesce a sostenere la prova del tempo e della sofferenza, ci sono ospiti a sorreggerla (Brandi Carlile e Amanda Shires tra gli altri), ma in fondo non è mai stata l'arma principale del nostro, dal quale ci attendiamo quel sussultare country leggero e ironico in Egg & Daughter Nite, Lincoln Nebraska, 1967 (Crazy Bone) (un titolo così…solamente John Prine), con tanto di piano barrelhouse, oppure il sussurrare acustico di un tramonto amoroso in Summer's End, il fingerpickin' da manuale di Boundless Love e più in generale quel sound country folk per cui resta un punto di riferimento ancora attuale (la strampalata requisitoria di Lonesome Friends Of Science e No Ordinary Blue). Nella ballata in minore di Caravan Of Fools soffia un vento più malinconico, un crepuscolo che John Prine pare affrontare con saggezza, fino a toccare un vertice in God Only Knows, vecchio inedito scritto insieme a Phil Specor e tra le perle preziose di questo The Tree of Forgiveness, la slide di Jason Isbell a tracciare un sentiero sudista e un fiddle in lontananza.

Il saluto è degno della storia di Prine e delle sue bizzarrie, una stramba filastrocca country che mischia talkin' e accelerazioni boogie al piano, When I Get To Heaven, che fin dal titolo chiarisce il senso del percorso artistico affrontato in questo passaggio della sua vita. Un album riservato, amichevole e confidenziale, un vecchio amico che sa ancora indicare la strada.


    


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