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rock brothers di
Fabio Cerbone (02/07/2018)
Ecco
un'altra favola dai colori vintage, eppure capace di restare mirabilmente in equilibrio
nella modernità. Sono una sorpresa di innocenza ed energia questa coppia di giovani
fratelli inglesi spuntati dalla città mineraria di Scunthorpe, North Lincolnshire,
capaci con il vigore delle voci e le suggestioni di stagioni lontane di farsi
largo dalle frequenze della BBC fino agli studi lussuosi di Malibu in California.
Il breve ululato dei coyote intorno alle colline di Los Angeles (Coyote of
Malibu) apre le note del loro disco d'esordio sulla distanza, All My
Shades of Blue, per il quale si è scomodato Rick Rubin in persona,
ancora una volta attirato dal richiamo antico di una musica in grado di cogliere
il lascito dell'american music più classica.
Nelle canzoni dei Ruen
Brothers, acronimo che sintetizza parte dei nomi propri di Henry (voce solista
e chitarre ritmiche) e Rupert Stansall (chitarra e cori), deve essere scattata
la stessa scintilla che in passato ha fatto accostare Rubin ai maestri Cash e
Petty, ma anche all'adolescente talento di un Jake Bugg, di cui l'operazione Ruen
Brothers potrebbe in parte richiamare l'ambientazione. Azzardiamo però qui una
sostanza nelle singole canzoni e una trascinante vitalità rock che appartiene
soltanto ai fratelli Stansall, svezzati con i vinili di famiglia, le armonie degli
Everly Brothers, il country di Johnny Cash e soprattutto il rock'n'roll dal gesto
teatrale di Roy Orbison, quest'ultimo punto di riferimento (forse in coppia con
il discepolo Chris Isaak...) evidente nel canto drammatico e intenso di Henry,
dominatore della scena già nella scelta della title track come primo singolo.
Un magnetismo lampante, ma non una copia carbone, si badi bene, perché
il sound dei Ruen Brothers aggancia con intelligenza una forma di ballata rock
dagli echi fifties, ma si pone sulla strada di un fresco aggiornamento di quello
stile, trascinando l'ascolto nel vortice di un moderno rockabilly dalle tinte
nere e pulsanti in Walk Like a Man, lanciandosi
al galoppo dei fiati e della melodrammaticità, degna dei Gaslight Anthem dei tempi
migliori, di Finer Things e An Evening Dreaming.
Pop nelle intenzioni, elettrici nell'anima, con un cotè di musicisti messi a disposizione
da Rubin a fare la differenza (Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers alla batteria,
Dave Keuning dei Killers e Matt Sweeney alle chitarre e ancora lo scomparso Ian
McLaglan dei Faces al piano), i Ruen Brothers agguantano il sogno californiano
portando in dono la semplicità delle loro prime esibizioni nei piccoli pub londinesi
ma allo stesso tempo dimostrando una malizia da veterani, lì dove certamente lo
zampino del produttore ha giocato un ruolo non indifferente.
Lo si percepisce
nel rimaneggiamento di Aces e Summer
Sun, brani recuperati dal primo ep pubblicato dalla band e qui riordinati
per rendere il suono più ficcante e radiofonico. Nulla che faccia perdere per
strada l'impatto stradaiolo della prima e l'incedere vagamente western e cinematografico
della seconda (con le voci delle Webb Sisters a sostegno), liriche ingenue che
vertono sull'ancora giovane viaggio nella vita di Henry e Rupert Stansall. Trame
scure di un country noir rivisitato all'oggi emergono ancora in Vendetta,
mentre il canto si innalza nell'enfasi dell'amato Orbison in Strangers
e Caller: ombre del passato, uno scaltro mix di elettro-acustico e romanticismo
rock d'antan, ma anche una manciata di canzoni capaci di far sussultare il cuore.