Chris Knight
Almost Daylight

[Drifters Church/ Goodfellas 2019]

chrisknight.net

File Under: heartland country rock

di Fabio Cerbone (15/10/2019)

Avrete anche voi una trattoria del cuore, se ancora ne sono rimaste, quei luoghi poco appariscenti dove rifugiarvi e tornare ciclicamente per assaporare il piatto preferito, i cui ingredienti conoscete a memoria eppure non vi stancano mai. Oppure una birreria dove degustare sempre quel particolare tipo di bionda alla spina, perché lì, chissà come, sembra scendere nello stomaco più buona e fresca. La musica di Chris Knight, classe 1960, songwriter del Kentucky, fa un po’ questo effetto: uguale a se stessa, fedele nei secoli, incorruttibile nel tratteggiare il paesaggio di un’America rurale fatta di storie operaie e miglia da percorrere. Distinguere un suo album dal successivo è questione di dettagli, a volte invisibili, di singoli versi e di caratteri, quelli narrati nelle canzoni come se si trattasse di un autore di short stories. Eppure la musica non si muove di un centimetro, country rock grezzo ed elettrico, con quel piglio sudista delle chitarre e quella polvere che lo fa sembrare un texano dalla pellaccia dura.

Credere che Almost Daylight possa stravolgere la sceneggiatura è una pia illusione, tanto più che alla produzione si conferma, come nei lavori passati, l’ottimo Ray Kennedy (Steve Earle, Lucinda Williams e molti altri nel suo palmares) e alle chitarre torna l’amico Dan Baird (Georgia Satellites), altro rinnegato che persegue la sua idea di rock’n’roll senza compromessi. Certo, sono trascorsi sette lunghi anni da Little Victories, e dunque ritrovare questa voce autentica dell’heartland americano ha un gusto meno prevedibile, perché ci stavamo quasi abituando alla sua assenza. Invece, questo figlio del Kentucky, terra che nel frattempo è diventata l’anima della nuova e più eccitante country music in circolazione (con i "nipotini" Chris Stapleton, Tyler Childers, Sturgill Simpson…), torna a quasi sessant'anni sulla scena ribadendo di essere una specie di padre putativo per tutti quelli venuti dopo, soprattutto uno che le canzoni le sa scrivere, a cominciare da I’m William Callahan, Chris Knight all’ennesima potenza, marginalità e ferite comprese.

Con la premessa di non cercare qui la nuova frontiera del genere, Almost Daylight è una raccolta divisa fra road songs e love songs, come conferma il protagonista, salda nelle sue certezze, quelle di raccontare The Damn Truth, cercando una via di fuga in I Won’t Look Back, parlandoci dei soliti outsider (Trouble Up Ahead, Crooked Mile) alle prese con le dannate complicazioni della vita. La voce gratta via la vernice del tempo, è tanto cruda quanto il sound offerto dal disco, che ricorre alle ospiti Lee Ann Womack (in Send It On Down) e Siobahn Kennedy per addolcire un po’ la medicina amara, anche se spiragli di luce e raggiunta maturità si affacciano in Go On e nella stessa Almost Daylight, sorta di manifesto romantico che descrive l’alba dopo avere attraversato le tenebre. Due le cover scelte oculatamente per indicare le ragioni della sua ispirazione: Flesh and Blood di Johnny Cash, che Knight rende in una veste meno drammatica e più schietta, ma soprattutto la conclusica Mexican Home, piccolo capolavoro di John Prine (in origine pubblicata su Sweet Revenge, 1973), che qui partecipa e duetta con voce spezzata insieme al figliol prodigo, in un finale che sa toccare le corde dell'emozione.


    


<Credits>