Tom Russell
October in the Railroad Earth
[
Proper
2019]

tomrussell.com

File Under: american storyteller

di Davide Albini (01/04/2019)

 

Non arretra di un millimetro dalle sue convinzioni il nostro Tom Russell, maestro dello storytelling: quarant’anni e passa di carriera, una lista di album di cui cominciamo a perdere la memoria, ma lui trova ancora le ragioni per raccontare l’altra faccia del sogno americano, il richiamo della strada e della Beat Generation, la stessa che lo ha ispirato sin dalla gioventù, quel fascino irresistibile fra mito e racconto sociale che intreccia vicende umane di resistenza e marginalità. October in the Railroad Earth è metà Johnny Cash e metà Jack Kerouac, in un ideale incontro a Bakersfield, come riassume con originalità e colore lo stesso Russell: le nuove canzoni possiedono il battito del country fuorilegge (e in Highway 46 possiamo apprezzare un omaggio struggente a Merle Haggard… “Dov’eri il giorno in cui Merle Haggard è morto?”, ci chiede Russell) e l’immaginario intramontabile di On the Road, i suoni della frontiera e i caratteri degni di un romanzo.

Un bel ritorno di fiamma, seppure l’ispirazione non avesse mai abbandonato il nostro protagonista, forse soltanto un po’ dispersivo e persino troppo ambizioso, aggiungo io, come era capitato di sottolineare in occasione del celebrato The Rose of Roscrae. Noi lo preferivamo nei panni più contenuti e familiari di un album quale Folk Hotel, e chi avrà la pazienza di accogliere una volta ancora la sua stentorea voce in October in the Railroad Earth ne ritroverà il passo elettrico del roots rock e la sferzante energia di quel country rock impolverato dal border messicano, territori che Russell non affrontava con questa baldanza dai tempi di Borderland, The Rose of San Joaquin o dei suoi lavori di fine anni Ottanta. A equipaggiare l’album con questi orizzonti sonori ci sono le chitarre scalpitanti di Bill Kirtchen (Commander Cody), che insieme alla pedal steel di Marty Muse e alla partecipazione di John e Max Baca dei Los Texmaniacs tinteggiano le ballate di Russell di un inconfondibile tonalità sabbia, le ammanta di asfalto e polvere, innalzando l'inconfondibile boom-chicka-boom (Johnny Cash il faro, e chi altrimenti?) incalzante della title track o avventurandosi fra gli orizzonti rosso fuoco di Small Engine Repair (da qui l'omonimo film irlandese del 2016), ballata country dal passo epico e commovente che fa esplodere un racconto da orgogliosa working class.

Suoni e parole sono quelle giuste, i soggetti scivolano tra cenni biografici e rielaborazioni dal vivido tenore letterario, lo stesso che ha sempre contraddistinto lo stile di Tom Russell, uno scrittore (e anche apprezzato pittore, andrebbe ricordato) con la chitarra a tracolla. T-Bone Steak and Spanish Wine e Back Streets Love ravvivano ricordi di perseveranza in chiave acustica, la seconda in duetto con la collega Eliza Gilkyson, When the Road Gets Rough ne traduce il sentimento in un’atmosfera più elettrica e palpitante, ma sono gli scorci narrativi di Isadore Gonzalez e Red Oak, Texas quelli che ancora una volta colpiscono nel segno. La prima è una bonaria danza tex mex che evoca la vicenda tragicomica di un cowboy al seguito del famoso "Wild West Show" di Buffalo Bill, la seconda una fotografia a passo honky tonk sui postumi della guerra per due fratelli gemelli che hanno prestato servizio nell’esercito americano in Medio Oriente.

L’ombra del "Man in Black" tanto evocata si materializza nel finale, quando Tom Russell ricorda la prima canzone che da bambino ha sentito cantare da Johnny Cash: una rutilante cover di The Wreck of the Old 97 annuncia l’ultima stazione del viaggio, fra leggenda e tragedia vera e propria, in attesa della prossima partenza, ne siamo certi.


    



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