Terry Allen and The Panhandle Mistery Band
Just Like Moby Dick
[Paradise of Bachelors/ Goodfellas
2020]

paradiseofbachelors.com

File Under: country folk waltzes

di Fabio Cerbone (29/01/2020)

Simbolo potente di una eterna lotta fra bene e male, ma anche incarnazione di un Assoluto e di un mistero che avvolge il mondo, Moby Dick arriva alla fine del nuovo viaggio musicale di Terry Allen, chiudendo note e testo di Sailin’ on Through, sorta di canto errante per la vita. La metafora del grande cetaceo bianco di Melville è il pretesto per imbastire una raccolta di ballate che indagano le assurdità e la bellezza dell’esistenza umana: i ricordi, la guerra, la morte, tutte viste da quella angolazione eccentrica che ha sempre caratterizzato il più iconoclasta e indefinibile dei songwriter texani. A sei anni dall’austero e un po’ spettrale Bottom of the World, disco che segnava il suo ritorno sulle scene dopo tredici stagioni di silenzio discografico, Just Like Moby Dick non solo annuncia il nuovo sodalizio con la Paradise of Bachelors (la stessa etichetta che si è dedicata alla minuziosa ristampa del suo catalogo, compreso il fondamentale Lubbock), ma anche la dimensione di maturità compositiva e di consapevole saggezza che ci offre forse il capolavoro dell’età adulta di Allen.

Per riuscirci l’autore ha concepito un album corale, mai così collaborativo con la battezzata Panhandle Mystery Band, nel quale ha firmato alcuni testi insieme agli amici Joe Ely e Dave Alvin, e con la moglie Jo Harvey Allen, ha chiamato a raccolta i figli Bukka (accordion, piano) e Bale (djembe), ma soprattutto ha coinvolto in un ruolo di prima attrice Shannon McNally, il cui ammaliante timbro soulful si innalza spesso a co-protagonosta (intonando persino da sola la languida melodia retro di Harmony Two e sfiorando con morbidezza il country soul di All These Blues Go Walkin’ By). La produzione e le chitarre di Charlie Sexton (che appare anch’egli da protagonista nel duetto di All That’s Left Is Fare Thee Well) hanno infine cucito insieme questi disparati interventi con una leggiadria musicale in prevalenza acustica, dove l’andatura da walzer tipica delle composizioni di Terry Allen si è fatta meno scorbutica che in passato, acquisendo un tono più accorato, quello che emerge, per esempio, nel ritratto commovente di Death of tha Last Stripper.

Non ha dismesso però i panni di un songwriting originalissimo, bizzarro e freak già nell’indagare i dubbi filosofici ed esistenziali in Houdini Didn’t Like the Spiritualists, nel narrare di una fantomatica City of Vampires, pronta ad accogliere un circo in città per succhiare il sangue ai clown, o nell’inventarsi una nuova malattia che tormenta l’uomo moderno, con le brusche fattezze outlaw country di Abandonitis. Chi sarebbe altrimenti in grado di scrivere o anche solo immaginare questi argomenti? Allen, artista visuale, scultore, reduce da una retrospettiva personale presso la galleria L.A. Louver in California, conferma di essere una splendida anomalia all'interno del cantautorato roots americano. La sua caustica penna gli consente di affrontare qualsiasi soggetto, e anche alle prese con le meschinità umane, la guerra in primis, non può fare a meno di risultare allusivo e schietto al tempo stesso (It’s just the war/ Same fucking war): capita nel trittico quasi teatrale che compone American Childhood, canzone in tre atti che svetta nel cuore del disco, tra i ricordi giovanili di Civil Defense e Little Puppet Thing (un violino che evoca una curiosa melodia tzigana), appartenuti allo stesso Allen, cresciuto in epoca di Guerra Fredda e minacce nucleari, e il racconto di Bad Kiss, amore spezzato per una ragazza arruolatasi, alla volta dell’Afghanistan.

L’epica, perché di questo si tratta, che abita le canzoni di Terry Allen, riverberata anche dai dipinti ottocenteschi di Thomas Chambers scelti per l’artwork di copertina, è un mondo a sé stante, un allegorico, tragicomico patrimonio musicale che Just Like Moby Dick racchiude al meglio delle sue possibilità.



    


<Credits>