Bonny Light Horseman
Bonny Light Horseman
[
37d03d Records/ Goodfellas
2020]

bonnylighthorseman.com

File Under: new ancient folk songs

di Fabio Cerbone (29/01/2020)

 

Ritrovare la voce di Anais Mitchell, una delle più ispirate dell’ultima generazione folk al femminile, è già un piccolo miracolo di cui essere grati, a sette anni ormai dalla raccolta Child Ballads in coppia con Jefferson Hamer. Vederla poi coinvolta in una nuova rielaborazione della tradizione inglese, in questa occasione materializzatasi nella forma del trio Bonny Light Horseman, con Eric D. Johnson (animatore dei Fruit Bats) e Josh Kaufman (produttore conosciuto soprattutto per il lavoro con Craig Finn, Josh Ritter e The National), estende il fascino della sua ricerca dentro il linguaggio acustico e arcaico della ballata.

Un’operazione lontana da qualsiasi intento agiografico o di puro omaggio storico, ci tiene subito a ribadire la stessa Mitchell insieme ai suoi compagni di avventura: l’omonimo esordio del trio ha il sapore sfuggente e cristallino di una folk music sempre più in rinascita, con lo sguardo rivolto al valore universale di questi brani, riletti e intepretati con un occhio di riguardo al lato emozionale, all’atmosfera umana che possono evocare, ai rinnovati significati che tendono ad assumere nel mondo moderno. E ancora una volta l’alchimia viene trovata: merito di musicisti sensibili, di armonie vocali e tessiture acustiche che anelano alla bellezza senza risultare stucchevoli o minimamente artefatti. Se avete apprezzato l’elegenza e la profondità sonore degli ultimi album di Joe Henry, anche nel suo ruolo di produttore (penso soprattutto al binomio con gli Over the Rhine), se avevate già colto l’approccio della stessa Mitchell nel citato Child Ballads (altro meritevole percorso intorno all’eredità del folk britannico), se ricordate con piacere il tepore degli esordi di Bon Iver, troverete nel trasporto evasivo, cullante delle chitarre e delle voci di Bonny Light Horseman (album e brano omonimo, posto non a caso in apertura) un manifesto dello stile della band, completata da Michael Lewis al basso e sax, e JT Bates alla batteria.

L’incontro ufficiale fra i tre attori principali, che avevano già incrociato in qualche modo i loro destini musicali, è avvenuto nel corso dell’ultima edizione dell’Eaux Claires festival. Un soggiorno a Berlino, su invito dell’amico Bon Iver, per uno scambio artistico presso lo studio The Funkhaus, ha cementato l’idea di un disco, quindi completato nella scorsa primavera in America. L’esito è il tenero ondeggiare di The Roving, con una Mitchell sublime nel carezzare i versi di un’antica ballata, la filastrocca reinventata di Jane Jane e una Blackwaterside che si mette sulle tracce di misteri irrisolti. Le armonizzazioni e l’intesa con Johnson e Kaufman, il primo spesso co-protagonista al canto (fanciullesco quanto la controparte femminile in Mountain Rain), sono un piccolo prodigio di grazia, che si dischiude alla luce di Deep in Love e si lascia lusingare dal picking acustico di Magpie’s Nest.

L’anima è nelle chitarre acustiche e nel timbro elusivo delle voci, ma indispensabili sono anche i contrappunti di piano, sax, armonica, soffi leggeri che sottendono l’incanto di Lowlands, l’echeggiare di Bright Morning Stars, prima che il viaggio del cuore e del tempo dei Bonny Light Horseman si adagi sul walzer sognante di 10,000 Miles. Un album di commozione pura.


    



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