Avevamo incontrato i GA-20
nel disco Try
It...You Might Like It!, raccolta di cover di canzoni della
leggenda underground del Chicago Blues, Hound Dog Taylor. Diretti, ruvidi,
grezzi, proprio come la musica del bluesman a sei dita, il trio pubblica
ora il terzo album, che rimane nel solco del garage blues, della musica
rock anni 50, con spirito indipendente e lo-fi. I componenti del gruppo
- originario di Boston, formatosi nel 2018 all’insegna del blues revival
- sono Matt Stubbs alla chitarra, Pat Faherty chitarra e voce, Tim Carman
alla batteria. Formazione giovane nonostante l’esperienza dei tre (fra
cui 14 anni di militanza di Stubbs nella band di Charlie Musselwhite,
oltre ad aver suonato con James Cotton e John Hammond, fra gli altri).
Il disco è stato registrato
live presso i Q Division Studios in Somerville, Massachusetts, ed è stato
prodotto dallo stesso Matt Stubbs.
Non è un mistero che le influenze del terzetto vadano da Otis Rush, J.B.
Lenoir, Howlin’ Wolf a Junior Wells, Hound Dog Taylor e via discorrendo,
in un universo di figure laterali del blues, che emergono chiaramente
dalla musica dei GA-20. Questo terzo album della band si compone di sole
nove sparute tracce, per una striminzita trentina di minuti in tutto.
La partenza è affidata a Fairweather Friend, che ricorda più i
Black Keys di El Camino, con un blues molto ammiccante e piacione.
Si passa al rock anni ‘50 con Dry Run,
una specie di Roy Orbison-style, così come in Just Because. Si
torna invece al blues vecchia maniera con Easy
on the Eyes (sempre in chiave moderna).
Strumentale, aggressiva, la title-track Crackdown
potrebbe essere una versione bluesy degli MC5. Qualcosa di più originale
rispetto a quanto già sentito nelle prime tracce della scaletta. By
My Lonesome torna ai tempi del primo rock'n'roll, tipo Little Richard
o Chuck Berry, tanto che ad un certo punto ci si aspetterebbero pure dei
gridolini (che non arrivano, tranquilli). Double
Gettin’, che mischia rock, ritmi jungle, blues, è uno dei pezzi
più interessanti dell'esile gruppo di brani. Gone for Good, con
il suo incedere tipicamente blues (sembra It Hurts me Too, per
essere chiari) anticipa la finta chiusura con l’abbozzato Fairweather
Friend (Final Goodbye).
Canzoni semplici, veloci (meno di tre minuti in media), assoli grezzi,
melodie molto accattivanti, tutto confezionato per essere lo-fi, tanto
che in più di una occasione sembra che questa bassa fedeltà sia molto
ben studiata e pianificata a tavolino. Stubbs, parlando del nuovo lavoro,
ha detto che il blues è fatto per essere suonato live, e sicuramente tale
dimensione è quella che più si addice al trio. Chissà se potremo mai vederli
dal vivo anche qui nella nostra penisola e magari riusciremo a capirli
un po’ meglio che non attraverso questi tentativi imperfetti di riproporre
e aggiornare della musica le cui chiavi sono rimaste nelle mani di pochi
veri eletti.