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Jeb Loy Nichols
United States of the Broken Hearted
[On-U Sound 2022]

Sulla rete: jebloynichols.co.uk

File Under: groovy folksinger


di Fabio Cerbone (01/12/2022)

Tra i personaggi più singolari e schivi che abbiano trafficato con la materia folk americana in questi ultimi trent’anni – viene in mente, da un altro punto di osservazione, il solo Jim White – Jeb Loy Nichols si muove da tempo in un mondo appartato dove il suddetto folk e anche la materia country sfumano nei colori pastello del soul, si incrociano con i ritmi del reggea e del dub, si sporcano leggermente con l’elettronica. Un percorso coerente e defilato che prosegue da almeno un paio di decenni e forse più, da quando Nichols ha interrotto la breve parentesi dei Fellow Travellers, il progetto che inizialmente aveva fatto conoscere la sua figura, per intraprendere una carriera solista che gli ha portato numerose soddisfazioni soprattutto nel Regno Unito.

Non è un caso che proprio lì si sia ormai trasferito da molti anni, lui che è cresciuto come un vagabondo tra il nativo Wyoming, il Texas e New York, prima di prendere il volo per Londra e adesso vivere in una casa un po’ isolata nella campagna del Galles. Da quel luogo Nichols manda segnali parchi, avendo rallentato di recente le sue pubblicazioni, per dedicarsi anche all’altra occupazione, quella di visual artist, grafico e disegnatore (ha curato anche diverse copertine di album ad inizio carriera). Così, proprio il suo punto di vista di americano espatriato infonde l’anima compassionevole e ferita al tempo stesso di questo United States of the Broken Hearted, album irresistibilmente “minimalista” che lo fa reincontrare con la On U Sounds del produttore Adrian Sherwood, nome di punta della scena dub ed elettronica inglese, con il quale Nichols aveva già collaborato in passato.

Ritroviamo una voce inconfondibile, quel gentile sussurro dal tono sabbioso, che avevamo colpevolmente perso dai nostri radar (erano i primi anni Duemila, con dischi come Just What Time It Is e Easy Now per la Rykodisc), qui attento a ritrovare i suoi legami con la tradizione, rileggendo persino Woody Guthrie (la famosa Deportees, ora reimmaginata al tempo dei rifugiati e migranti della terra), il classico della canzone sindacale di lotta, firmato da Sarah Ogan Gunning, I Hate the Capitalist System, e l’altrettanto nota Satisfied Mind, ballata nel repertorio di mille musicisti, dai Byrds ai Walkabouts, che ha sempre attratto per i suoi toni universalistici. I restanti nove brani autografi si fondono alla perfezione creando un affresco sulla società americana divisa e sofferente, verso la quale Nichols volge il suo sguardo di pietas con una musica fatta di piccole rivelazioni, minimale in apparenza, ma ad ogni brano disvelatrice di qualche illuminazione.

Un disco fatto di poche, bellissime minuzie United States of the Broken Hearted, le note della chitarra acustica avvolte nella coperta di fiati (Dave Fulwood alla tromba) e basso in Monsters on the Hill, il flauto di Paul Booth (anche al sax) che tiene per mano Big Troubles Come in Through a Small Door, su tutto infine il tocco di Sherwood, regia musicale la sua che riveste le pareti di queste canzoni senza distogliere l’attenzione dal fruscio vocale di Nichols, il fulcro di un’interpretazione “laid back” che affascina per sottrazione. Il suo è un bisbiglio soul che ha nel cuore la lezione di Curtis Mayfield e Bill Withers, e la fa incontrare con la narrativa folk in una sequenza di canzoni che si aprono davanti a noi come capitoli di un’unica preghiera per un paese e un’umanità in tormento: la sinuosa Fold Me Up, il gemello languore blues di No Hiding Place for Me, il dondolare ritmico e il soffio caraibico dei fiati in What Does a Man Do All Day, il dolce respiro acustico e jazzy di I'm Just a Visitor, per approdare alla leggiadria soul della stessa United States of the Broken Hearted, che davvero si fa fatica a non immaginare nei pensieri e nella sensibilità di Mayfield.

Straniante nell’accostare la sua delicatezza interpretativa con i temi affrontati (su tutto proprio la citata I Hate the Capitalist System, in duetto con la seconda voce di Ghetto Priest), United States of the Broken Hearted è un maturo punto di arrivo nella singolare parabola artistica di Jeb Loy Nichols.


    



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