Il ritorno di un autentico outsider: potremmo
riassumere semplicemente così la chiusura della nostra stagione musicale.
Era accaduto ormai più dieci anni fa, albori di questo sito, con un allora
giovane e ambizioso Ryan Adams che si affacciava alla carriera solista; si era
ripetuto in tempi recenti con l'exploit improvviso di un tenace troubadour texano,
Ryan Bingham; si conferma oggi nelle note di Barn Doors and Concrete Floors,
disco "piccolo" e indipendente, assolutamente fuori dalla vista (negli
States non lo conosce ancora nessuno, o quasi) come si conviene allo spirito controcorrente
di questa rivista, che impone Israel Nash Gripka - uno che già dal nome
sembrava destinato alla sconfitta - come il sanguigno talento del circuito Americana
del 2011. Ha sbancato le nostre e le vostre scelte senza alcuna concorrenza che
potesse minimamente intimorirlo: lo ha fatto con pochissimi mezzi a disposizione
se non eterne, buone canzoni, un suono riconoscibile e una personalità
che ha potuto immediatamente confermarsi dal vivo, non solo grazie a un disco
live molto apprezzato, ma anche con lo stesso tour italiano, che in luoghi sperduti,
in pieno spirito da provincia rock insomma, ha sancito lo spessore di questo ragazzone
del Missouri.
Tutto ciò è il segno, forse, che c'è
ancora speranza là fuori, fra chi cerca e chi non si accontenta di quello
che "deve essere" il gusto del momento ( l'hype direbbero 'loro' con
una di quelle brutte parole), schiacciati fra il presunto presente e il possibile
futuro del rock'n'roll che per molti, va da sé, è già morto
da tempo immemore, oppure muore ciclicamente ad ogni cambio di stagione, tanto
fa sempre notizia...
Il 2011 è stato
anche l'anno in cui, più di altri, abbiamo visto mischiarsi presenze fedeli
e nuovi virgulti, fuoriclasse e gregari, gente che magari ha lavorato per troppo
tempo nelle retrovie: tra gli altri ci piace sottolineare le conferme di Jesse
Sykes e Bill Callahan, fra psichedelia e folk austero; il ritorno in gran spolvero
di Ry Cooder tra gli intramontabili classici e Pj Harvey nel rock d'autore più
tormentato; l'emersione di Grayson Capps per gli orfani "sudisti"; e
ancora, nelle posizioni di stretto rincalzo, i graditissimi ritorni di Jason Isbell,
William Elliot Whitmore e Laura Marling. Tutto questo mentre su entrambi i versanti
delle classifiche si affacciavano le assolute certezze di Lucinda Williams e Gillian
Welch, nostre signore dell'Americana di ieri e di oggi, ancora sulla cresta con
opere degne del loro blasone, oppure i grandi saggi Dave Alvin, Tom Russell e
Steve Earle. E non va certo dimenticato un Ryan Adams tornato nelle vesti di accorato
folksinger e apprezzabile cesellatore di ballate, mentre i Decemberists si trasformano
soprendentemente nella band più "roots" del momento e i Wilco
non fanno mai mancare il loro graffio, con una presenza persino scontata e inoppugnabile,
tanta è la qualità medio-alta che hanno saputo offrire in questi
anni. Il resto (ci sono anche i libri, non ve ne dimenticate), compresa qualche
sensibile (e sacrosanta) divergenza fra redazione e visitatori, scopritela da
soli nel consueto viaggio alla rilettura di un anno 'rootshighuiano'
Questa
edizione dei nostri annuali oscar la dedichiamo con tutto il cuore alla
memoria di Carlo Carlini, uno dei "cercatori"
che ha contribuito a diffondere quello spirito che pensiamo appartenga da sempre
anche a RootsHighway.
In ordine sparso estendiamo la dedica anche agli
spiriti di Clarence Clemons, Bert Jansch, Jackie Leven, Charlie Louvin (Louvin
Brothers), Marshall Grant (Johnny Cash Tennessee Two), Jack Hardy, Pinetop Perkins,
Hubert Sumlin, Calvin Russell...
RootsHighway
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