The Furious Seasons
La Fonda

[Stonegarden 2020]

Sulla rete: thefuriousseasons.com

File Under: Folk-pop acustico


di Gianfranco Callieri (11/09/2020)

Non avevo mai ascoltato prima d’ora i californiani The Furious Seasons, e immaginandone la ragione sociale desunta da un vecchio e omonimo racconto di Raymond Carver, addirittura risalente ai tempi in cui lo scrittore frequentava l’università, mi ero predisposto a farlo con istintiva indulgenza. Arrivato tuttavia nei pressi di Your Irish Funeral, brano numero nove nella scaletta di La Fonda e come tutto il resto — titolo dell’album, versi, talvolta strofe intere — dedicato alla scrupolosa citazione di luoghi realmente esistenti (o esistiti) nel territorio compreso tra gli asfalti di Los Angeles e le colline di Hollywood; e sentendo cantare di questa cerimonia funebre in memoria di un amico-non-più-amico il quale avrebbe voluto, per le sue esequie, l’accompagnamento di Jeff Buckley, Avett Brothers e Paul Simon, mi sono arreso a una considerazione evidente: il qui presente trio, composto dai fratelli David e Jeff Steinhart (chitarra e voce il primo, basso e tastiere il secondo) nonché da Paul Nelson alla Weissenborn, sarà anche versato nel (ri)percorrere, con minore efficacia, quanto scritto da altri autori (ossia tutti i nomi fin qui evocati), ma in quanto al far trapelare un minimo di personalità dalle proprie composizioni sembra ancora decisamente immaturo.

Questo nonostante La Fonda sia (lo dico con una certa incredulità) il settimo album della formazione e il terzo consacrato per intero a una dimensione acustica solo in qualche episodio rafforzata da percussioni, fisarmonica e violino. Ora, essendo l’opera una specie di «ciclo» sulla morte di un amico alcolizzato, sembrerebbe da un lato quasi naturale che al ricordo di costui vengano dedicati, in musica, apologhi tascabili caratterizzati da malinconia e rarefazione esecutiva. Ma dev’essere proprio così? Di un’idea, di un sentimento o di una relazione, deve restare soltanto la nostalgia? Jackson Browne (For A Dancer), Blues Traveler (Pretty Angry) o Stevie Ray Vaughan (Life Without You), giusto per fare qualche esempio, ci hanno insegnato che no, la memoria di un fratello scomparso si può celebrare anche attraverso toni per niente mesti o rinunciatari. Invece La Fonda, dopo il ritmo felpato eppure seducente dell’iniziale As A Matter Of Fact, i cori contagiosi di Figure It Out, il dobro countreggiante di I Was An Actor e il clima desertico di Burn Clean, si sgonfia su tante intuizioni (e citazioni) sparse, purtroppo incapaci di costituire il ritratto della perdita al quale ambirebbero poiché soffocate da un eccesso di retorica e prevedibilità.

I Furious Seasons saggiano senza interruzioni le potenzialità del proprio linguaggio — un folk-rock autunnale e ripiegato su se stesso — senza tuttavia riuscire a trarre, dalle sfumature, dalle suggestioni e dai timbri altrui cui attingono, quel pizzico di incoscienza in grado di elevarli dal rango dei bravi imitatori a quello degli autori con uno stile da tramandare. Così, se ogni tanto si ha l’impressione di essere tornati agli Avett Brothers precedenti il successo mainstream, ma ulteriormente raffreddati e distanziati, più spesso si avverte la sensazione di trovarsi di fronte agli indizi di un grande disco in pectore, destinato però a non compiersi mai del tutto. Del resto, le rievocazioni organizzate dai singoli, e quelle messe in musica dai Furious Seasons non fanno eccezione, acquistano senso e credibilità se riescono a trasformarsi in memoria collettiva. Ma quella di rendere universali i propri struggimenti è una facoltà che le canzoni di La Fonda, purtroppo, non possiedono.


    


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