Condividi
     
 

Joseph Parsons
At Mercy's Edge
[Blue Rose 2020]

Sulla rete: josephparsons.com

File Under: americana rock

di Davide Albini (28/11/2020)

Uno di quei songwriter, e non sono pochi ormai, che sembra avere trovato l’America nella vecchia Europa, Joseph Parsons vive da diversi anni in Germania con la famiglia, facendo di tanto in tanto la spola con gli Stati Uniti. Non c’è da biasimarlo: la biografia ci racconta di una casa storica (fine del Sedicesimo secolo) a Parchim, nella Pomerania dell’ovest, dove ha costruito uno studio di registrazione personale, e di una band di musicisti tedeschi che lo affianca dal 2008 e con la quale Joseph è andato in tour regolarmente, approdando anche dalle nostre parti. Proprio durante alcuni show nel 2019, tra Germania, Slovenia e Italia, sono nate le incisioni del nuovo album, At Mercy’s Edge, l’ennesimo di una lunga produzione discografica iniziata alla fine degli anni Novanta e che ha visto sempre accostato il nome di Parsons all’etichetta tedesca Blue Rose, un binomio che evidentemente soddisfa entrambi (per la stessa label sono usciti anche i dischi in coppia con l’amico e collega Todd Thibaud).

In genere gli album concepiti on the road ne guadagnano in intensità, forse proprio per la carica che il gruppo riesce ad ottenere in studio, trasferendovi l’attitudine del palco, e mi sembra non fare eccezione questo At Mercy’s Edge, che si apre con il tiro stradaiolo di Green on Fire, classico rock urbano, e prosegue con la più nervosa e scalciante Changes Everything. Elettrico come non capitava da tempo, Parsons afferma di essere tornato all’energia dei suoi esordi, ma con l’esperienza dalla sua parte. Bella voce, profonda e accogliente, Joseph Parsons guida la band (un quartetto con le chitarre di Ross Bellenoit in evidenza, più la partecipazione di Adam Flicker alle tastiere e organo) tra canzoni cariche di una certa tensione, ancor più accentuata dalle liriche, che inseguono immagini di guerra e desolazione, commento sociale e politico ma anche ricerca di un riscatto personale.

Nulla che faccia gridare al miracolo, eppure un rock limpido e appassionato, collocato sull’immaginaria linea classica Springsteen-Seger-Petty, se volessimo citare i soliti maestri, la stessa che emerge nella ballata elettrica Nerve, nella più bluesata e irrequieta Madness e in Trouble Zone. Il suono scuro di Last One In, con chitarre riverberate che rincorrono certi U2 e una ruvidezza quasi grunge, chiude probabilmente la parte più intensa a livello sonoro di At Mercy’s Edge, che da qui in avanti rivolge lo sguardo anche al tono da folksinger di Parsons (lo stile garbato di One More, oppure il finale con Mercy’s Edge, tra gli episodi migliori).

Prolifico anche se misconosciuto in patria, Parsons si conferma un protagonista “minore” ma di solida qualità del rock d’autore americano: forse il miglior pregio che gli si può riconoscere.


    


<Credits>