Dove se ne stava rintanato il buon Tyrone Cotton
in tutti questi anni? Sono circa trenta, così raccontano le note biografiche,
che frequenta con assiduità la scena locale di Louisville, Kentucky, evidentemente
senza cogliere mai l’opportunità di una carriera vera e propria. Almeno
non fino alla comparsa del team produttivo formato da Josh Kaufman (Bonny
Light Horseman, Anais Mitchell, Josh Ritter e molti altri) e Ray Rizzo,
i responsabili principali del suono e delle atmosfere di Man Like
Me, album di debutto di quelli che raccolgono i pezzi di una vita
intera e svelano una voce nascosta che meritava di emergere in superficie,
con il suo timbro caldo e afflitto al tempo stesso, in equilibrio fra
racconto folk, sofferenza blues ed emozione soul.
Nove brani soltanto, dieci anni di riflessioni colte sulla strada, Cotton
si è preso il tempo che gli serviva per modellare un sound che è lo specchio
delle sue esprerienze personali, facendo tesoro, e si sente, dell’educazione
gospel impartita dal nonno, il Reverendo Cleveland Roosevelt Williams,
del quale Tyrone coglieva fin da bambino la potenza e la presenza scenica,
passando poi all’amore più prosaico per il rock e il blues ascoltati in
gioventù, da cui Cotton estrae, tra gli altri, i significativi nomi di
Mississippi John Hurt, Jimi Hendrix e Buddy Guy per delineare il suo stile.
Quest’ultimo resta, va detto, ben lontano dalla dimensione più grezza
e ferocemente strumentale che potrebbero evocare certi musicisti citati:
il fascino di Man Like Me è infatti racchiuso in un pugno di ballate
che hanno le cadenze del folk blues e le radici della soul music, ma si
sviluppano soprattutto con il tono accorato e interiore di un songwriter,
lavorando sulle ambientazioni della sezione ritmica e il particolare timbro
vocale dello stesso Cotton, profondo, ma capace anche di fragilità e arrochita
poesia di strada.
Se l’attacco di Across the Water restistuisce un appiglio al linguaggio
brusco del blues, già il languore acustico di Slow
Drag spinge in una direzione più affascinante, che mette vagamente
in connessione lo stile di Cotton con quello di personaggi spiritati come
Ted Hawkins, cantastorie in bilico tra la desolazione del folksinger e
l’intensità del soulman. Gli episodi più tenui, costruiti sulla rarefazione
un po’ jazzy degli strumenti e in grado di elevare le tonalità rauche
dell’interprete, restano anche i più significativi dell’album: una diafana
Go Back sostenuta quasi soltanto
dalle note sparse del piano, la stessa Man Like
Me, piccolo gioiello di sottrazione ritmica sul quale Kaufman
e soci delineano note parsimoniose, il finale intriso di delicatezza gospel&folk
di Dreams.
Qualche volta spezzato da un atteggiamento più gioviale (il suono forse
persino fuori contesto di una swingante Standing Rag, la pastosità
roots di Turnaround Boogie), eppure mai spingendosi oltre un sentimento
sempre contenuto, che non “rovini” insomma l’aspetto spirituale e intimo
dell’album, Tyrone Cotton sembra accompagnarci nel suo mondo con la seduzione
del musicista veterano e al contempo con la sincerità dell’esordiente.