È sempre meritorio
rispolverare una storia. Questa vicenda ha luogo nella Louisiana
degli anni Cinquanta, nell’area intorno a Crowley, circa settanta
miglia da Baton Rouge, all’epoca musicalmente compressa tra
blues, cajun, zydeco e rock’n’roll. Musica del bayou, la classica
terra di mezzo anche in senso stilistico, neanche fossimo
a sud; e qui occorre un termine adatto. “Lo swamp blues si
inserisce in un contesto culturale radicato nella musica popolare,
lontano dai percorsi evolutivi del blues contemporaneo; è
uno stile caratterizzato soprattutto dalla rilassatezza vocale
e strumentale degli interpreti, quasi a riflettere la slow
life tipica del sud” (cit. S. Marise).
Niente di più azzeccato, ma ogni storia ha i suoi personaggi.
Per esempio Jay Miller, produttore presso la Excello di Nashville,
uomo che non si fa scrupoli nel firmare i brani dei suoi artisti,
oppure musicisti che rispondono al nome di Slim Harpo, Lonesome
Sundown, Lightnin’ Slim (la sua Bad Luck del ’54 in
qualche modo inaugura il genere) o Lazy Lester, al
secolo Leslie Johnson, uomo che, in conformità con il suo
nickname, ha fatto della pacatezza la sua bandiera. Armonicista
dallo stile piuttosto vivace, ci ha passato tutta la vita
professionale in quella terra di mezzo, con la sua passione
per blues e country e il suo spirito genuino, rimanendo fondamentalmente
appannaggio per gli appassionati al di fuori delle grandi
platee. Eppure quest’uomo, classe 1933 (scomparso nel 2018),
nella Hall Of Fame del blues dal 2012, ha inciso con
gente come Sue Foley, Lucky Peterson, Kenny Neal e per etichette
quali Antone’s, Ruf, Telarc; ha realizzato l’ottimo Lazy
Lester Rides Again nel 1987 per la Blue Horizon e la sua
parabola si intreccia con quella di insospettabili eroi quali
Dwight Yoakam, che nel 1988 rivede la sua I Hear You Knockin’,
Fabolous Thunderbirds, alle prese con il classico Sugar
Coated Love (idem per Lou Ann Barton) o addirittura i
Kinks, i quali includono I’m A Lover Not A Fighter
nel loro disco di debutto (1964). Tutta roba marchiata da
Miller, avrebbe firmato chissà che quel geniale marpione.
Piccoli, grandi classici per una carriera a suo modo rimarchevole,
spesso penalizzata da un repertorio non altrettanto memorabile,
complice il carattere di Lazy, impegnato a viverlo e a suonarlo
il suo blues, più che ad archiviarlo. La storia infine include
la presente pubblicazione, grazie alla New Shot di Renato
Bottani, impegnata nel riportare a galla queste incisioni
realizzate durante il Nave Blues del 1991. Forte di
una buona band, Joel Murphy, chitarra, Roger Gregory, basso
e Tommy Shavers, batteria, Lazy sfodera una performance che
non fa granché eccezione rispetto alle solite, ovvero semplice
e diretta. Ancora protagonista è la rilassatezza, la gioia
di fondo, quel non-impeto che pervade tutti i brani, The
Same Old Thing Could Happen To You, elettrica e rurale
a un tempo, l’eccellente lento Patrol Blues (l’attacco
di armonica un po’ a-la Williamson), Got My Mojo Workin’,
Irene (con un piano sarebbe stato un gran terzinato),
St. Louis Blues, “normalizzata” a suon di sesta e settima
nel miglior (e improbabile) delta style; immancabile la menzionata
Sugar Coated Love.
In copertina, appare significativo quel “sic” tra parentesi
a proposito di Baby Don’t You Wanna Go, a metà tra
Robert Johnson e Jimmy Reed. Quella canzone l’abbiamo già
sentita, se non altro andando al cinema a vedere i Blues Brothers.
Sempre con l’ironia del bayou però. Ben tornato Lester.