Willard Grant Conspiracy
Everything's Fine
Rykodisc
2000


1/2


Il progetto di Robert Fisher (voce) e Paul Austin (chitarre), nucleo fondamentale della creatura Willard Grant Conspiracy, continua a mantenere un livello qualitativo che ha pochi concorrenti nell'ambito del nuovo rock provinciale americano. A prima vista, le differenze con uno splendido lavoro quale Mojave, così come il precedente Flying Low, sembrano sottigliezze impercettibili, tanto la band appare incanalata in una formula sonora affascinante e distintiva. La realtà dei fatti ci pone di fronte un lavoro certamente allineato con tutto quello che il passato ci aveva già mostrato, quindi un folk-rock dalle tinte fosche e malinconiche, tremendamente ricco di richiami storici alla tradizione, ma sempre, costantemente volto un passo avanti nella ricerca della migliore forma musicale per le canzoni. Da questo punto di vista Everything's Fine è attualmente il disco della maturità per il gruppo, quello in cui le diverse sfaccettature del loro sound vengono amalgamate ed esaltate nel migliore dei modi, insomma quello in cui le canzoni acquistano la forma perfetta. Alcuni degli elementi centrali per il raggiungimento di questo risultato sono l'innesto più marcato del piano e dell'accordion di Peter Linnane sul solito, notevole tappeto di strumenti acustici (dobro, mandolino, lap steel banjo), oltre all'intensa vocalità delle ospiti Edith Frost e Carla Torgerson (Walkabouts). Premesso che l'intero disco ci propone una media qualitativa sempre elevata, in prima battuta colpiscono al cuore le melodie sognanti e la dolcezza dell'iniziale Notes from the waiting room, la coralità di Kite flying, il western sound tenebroso della Ballad of John Parker, l'incedere sontuoso di Southend of a Northbound train o il finale in atmosfera Randy Newman, con la pianistica Massachusetts. Le poche accelerazioni ritmiche si percepiscono in Christmas in Nevada, un folk-rock dalla melodia già sentita, ma con un ottimo contorno di organo ed armonica e dall'immancabile episodio rock dell'album: questa volta niente punk (la rabbiosa Go Jimmy Go in Mojave), ma una The Beautiful Song in forte odore di desert rock, tra i ricordi dei Dream Syndicate e le visioni di Howe Gelb dei Giant Sand. Quando la rilettura delle radici significa fascino ed intelligenza lo strambo nome dei Willard Grant Conspiracy è una realtà consolidata.