16 Horsepower
Secret South
Glitterhouse
2000

 

Definiti in via del tutto geniale come il "tranquillo week-end di paura" del rock rurale, il gruppo guidato dal luciferino David Eugene Edwards ha sempre mostrato il volto oscuro, tenebroso e malsano dell'America provinciale, un universo in cui si intrecciano religione, superstizioni popolari, peccato e redenzione, sermoni, predicatori e fiamme dell'inferno. Logico aspettarsi toni funerei, country maltrattato da furiose rasoiate chitarristiche figlie del punk, debiti verso l'aspetto dark del rock, suggestioni alla Nick Cave e l'ironia tipica delle Violent Femmes. Secret south prosegue sulle coordinate del precedente Low Estate, abbandonando però in parte gli accenti più roots della loro musica: le atmosfere si fanno più maestose e ricercate ed il gruppo ribadisce la sua distanza dal giro delle roots bands d'oltreoceano. Clogger riprende il discorso interrotto con Low estate, tipico sound alla 16 Horsepower (un marchio di fabbrica ormai), orgia di chitarre elettriche riverberate su un tappeto acustico tradizionale. Wayfaring stranger è un traditional ripreso con uno spirito rispettoso del passato, il banjo torna a dominare ed Edwards interpreta con il solito trasporto da predicatore del sud. Sontuoso l'incedere di Cinder Alley, che scoppia in un inciso chitarristico da capogiro, e di Burning Bush, in coppia con Silver saddle, dove piano ed organo ricoprono un ruolo centrale per due brani che ridefiniscono il loro stile. Affascinanti gli influssi morriconiani nella ballata Poor mouth, una delle migliori del lotto, ed in Praying arm lane, una cavalcata nottorna nel deserto, con incastri impeccabili di chitarra e banjo. Splinters ci riporta in territori decisamente più rock, movenze cadenzate ed attendiste in partenza, fragorosi sviluppi chitarristici in seguito. Just like birds ricalca fin troppo le intuizioni di Low Estate, con la presenza di uno straziante violino, mentre il finale chiude in attivo con la cover di Nobody 'cept you (Bob Dylan), ovviamente irriconoscibile e dagli inattesi svolgimenti pop (in senso lato, per carità) e la solita inquietante predica dark, tra banjo, archi e percussioni appena accennate di Straw foot. In continuo spostamento verso qualcosa di nuovo e sconosciuto, i 16 Horsepower mostrano coraggio e restano una delle milgliori realtà del rock americano di questi anni: gli assidui sostenitori non dovrebbero rimanere delusi e nuovi adepti potrebbero essere conquistati.