Todd Thibaud
Squash
Blue Rose
2001



Fin dall'interessante debutto solista di Favorite waste of time (1996), prodotto da Kevin Salem, il nome di questo giovane cantautore del Massachussets aveva attirato non poche attenzioni su di sè, per la capacità di proporre un rock cantautorale, che superava i clichè del classico songwriter di provincia, allontanandosi dalle suggestioni roots dell'ultima generazione, per abbracciare un pop rock melodico, fresco ed accativante, che pagava un grosso tributo alla tradizione di gente come Tom Petty ed Elvis Costello. Il seguito (Little Mistery) aveva mantenuto ampiamente le promesse, raggiungendo una calibrata perfezione nei suoni e negli arrangiamenti, grazie soprattutto alla produzione di Jim Scott, figura centrale del più recente rock americano (tra gli altri ha prodotto Whiskeytown e Neal Casal). Squash rinsalda il sodalizio con la Blue Rose, vede avvicendarsi un nuovo regista dei suoni (Adam Steinberg, ma il cambio è impercettibile), e ricalca le intuizioni del passato: è nuovamente un concentrato di vibranti pop rock chitarristici, tra gli insegnamenti degli Heartbreakers e i ricordi giovanili del punk, e dolci ballate elettro-acustiche che si avvicinano alla sensibilità di Jackson Browne. Tutto assai piacevole, cantato e suonato con impeccabile mestiere e infine sugellato da una produzione "adulta", che sa più di major che di indipendente, eppure...Todd Thibaud rimane nell'alveo dei buoni artigiani del settore, candidato già dato per vincente nella categoria dei pettyani d.o.c., senza tuttavia compiere quel salto di qualità che ci si poteva onestamente attendere dal suo talento. Non possono certamente non destare simpatia il rock pimpante di Dragging me down, Uninvited overdue e St. Cecilia, chitarre in palla, melodia in primo piano e la strada che scorre sotto le ruote, oppure certe "furbe" e gradevoli rock ballads quali Sacred e Is it love? (uno dei picchi del disco), ma restano comunque una evidente ripetizione di quanto già messo in evidenza nel passato. E alla fine proprio gli episodi che dovrebbero staccare dal classico Thibaud sound, mostrano un po' la corda, tra qualche nenia folk tipo Already gone e brani insipidi e fin troppo sovrarrangiati come Wonderful again, salvandosi in corner con i sapori di border in After all. Sia chiaro che Squash resta un disco ancora credibile e in gran parte scorrevole, capace di cambiare l'umore di una giornata storta e grigia: per questa volta è andata bene...ma alla prossima