Jeffrey Foucault - Stripping Cane Signature sounds 2004
 

E' un po' una questione di "giro". Voglio dire, sappiamo tutti - più o meno - che i dischi di una certa etichetta possono finire con l'assomigliarsi molto l'un l'altro. Quelli della Red House di Greg Brown, per esempio, oppure, restando pressappoco nello stesso ambito, quelli della Signature Sounds: tutto materiale relativo all'area del folk più spartano, intimista e razionale, con il cuore rivolto ai giorni gloriosi del folk-revival e la testa proiettata in un mondo dove Bob Dylan non ha mai avuto nessun incidente su due ruote. Ogni tanto spuntano delle eccezioni, com'è ovvio, e alcune di esse anche rimarchevoli. E' il caso di un Peter Mulvey, che lo scorso anno aveva condiviso con Jeffrey Foucault i crediti dell'ottimo Redbird. Lo stesso Jeff aveva esordito con un molto promettente Miles From The Lightning (2001), disco inquieto e visionario in cui la ristrettezza dello spazio espositivo, cioè a dirsi del più povero rock&folk, non intaccava la purezza, l'originalità e lo spessore di una voce capace di intonarsi con inedita freschezza. Ben più canonico, ahimé, questo secondo Stripping Cane, che abbraccia senza remore la causa del folk introspettivo, guadagnando forse in chiarezza e austerità ma perdendo senz'altro qualcosa in termini di pura ispirazione. A suo modo archetipica l'iniziale Cross Of Flowers, acquerello acustico costruito su di un arpeggio elementare e su una successiva sequenza di accordi semplicissima: a suo modo anche affascinante e ipnotica, ma al tempo stesso monocorde, meccanica, imbambolata. Un singolo episodio che stabilisce però le coordinate essenziali, invero non esaltati, dell'intero album. Cerchiamo di capirci. Questa musica, costruita con pazienza certosina e spirito artigianale da chi ancora pensa che basti affidare le proprie inquietudini e una chitarra acustica per realizzare una canzone, commuove per il solo fatto di esistere e merita ancora - lo meriterà sempre - uno spazio di riguardo nell'archivio delle nostre emozioni. Però Jeffrey Focault può osare di più.
Due capolavori di tristezza e scrittura quali la title-track e Northbound 35, nonché l'affettuoso omaggio ai Creedence di una Lodi in chiave country-folk tanto inaspettata quanto riuscita, stanno lì a ricordarcelo.

(Gianfranco Callieri)

www.jeffreyfoucault.com