Un
fiume in piena i Drive by Truckers non si concedono pause e un
po' a sorpresa si ripresentano all'appello con un nuovo disco. Pochi mesi
dopo l'uscita dell'ottimo Decoration
Day, la band era già chiusa negli studi di David
Barbe ad Athens, Georgia, per concepire The Dirty South,
titolo che riassume le tonalità disperate e i chiaroscuri di un
songwriting sempre più avvinghiato alla terra d'origine. Se pensate
che questa prolificità possa far scadere la qualità della
loro proposta, cambierete idea alle prime note di Where The Devil Don't
Say, una piena rock'n'roll che travolge tutto quello che incontra
lungo il cammino. E' il disco più diversficato e personale della
loro carriera, giunta ormai al sesto capitolo: non possiede la magnificenza
di Southern
Rock Opera e forse nemmeno la profondità del citato
Decoration Day, ma può vantare una manciata di canzoni tra le più
belle scritte dalla band e soprattutto una divisione democratica in seno
ai componenti del gruppo (ultima arrivata la bassista Shonna Tucker)
che rende più stimolante l'ascolto. Patterson Hood, Mike
Cooley e Jason Isbell sono un team di autori che assicura ai
Drive by Truckers un sound roccioso, riconoscibilissimo, ma con sfumature
e sensibilità differenti. Come già constatato altre volte
il loro southern-rock è assai poco ortodosso: tira spesso un'aria
pesante che sfiora l'hard (la debordante Lookout Mountain), una
scorza dura che richiama Neil Young e i Crazy Horse, aperture melodiche
e puro heartland-rock. Se Decorantion Day era il disco dell'introspezione
e rifletteva i drammi personali dei singoli componenti, The Dirty South
ha uno sguardo più sociale: il disfacimento della comunità
del North Alabama, sia economico che ambientale, il dolore e i ricordi
si confondono, abbandonandosi a tratti alla nostalgia del passato. E'
soprattutto il disco di Jason Isbell, finalmente valorizzato a dovere:
sue sono le folate rock di The Day John Henry Died e Never Gonna
Change, così come due tra le migliori ballate del disco, l'accorata
Danko/ Manuel (indovinate a chi è dedicata?) e la conclusiva
Goddam Lonely Love. La voce di Isbell è la più soulful
e melodica, contrapposta al gracchiare sgraziato di Patterson Hood, comunque
ancora il più solido e polemico songwriter della band. Questa volta
lascia il segno in Tornadoes e nella tesissima Puttin' People
in The Moon, mentre chiede troppo al suo falsetto con The Sands
of Iwo Jima, alla lunga fastidiosa. Mike Cooley sembra infine concedersi
meno fughe elettriche (bellissima però Carl Perkin's Cadillac,
affresco sugli anni della Sun records di Sam Phillips) e imbastire scheletriche
folk song (Cottonseed, Daddy's Cup) che stentano a volte
a decollare. Sono piccole macchie all'interno di un lavoro di settanta
minuti, generoso e ispirato come e più che in passato.
(Fabio Cerbone)
www.drivebytruckers.com
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