Drive By Truckers - Dirty South New West/IRD 2004
 

Un fiume in piena i Drive by Truckers non si concedono pause e un po' a sorpresa si ripresentano all'appello con un nuovo disco. Pochi mesi dopo l'uscita dell'ottimo Decoration Day, la band era già chiusa negli studi di David Barbe ad Athens, Georgia, per concepire The Dirty South, titolo che riassume le tonalità disperate e i chiaroscuri di un songwriting sempre più avvinghiato alla terra d'origine. Se pensate che questa prolificità possa far scadere la qualità della loro proposta, cambierete idea alle prime note di Where The Devil Don't Say, una piena rock'n'roll che travolge tutto quello che incontra lungo il cammino. E' il disco più diversficato e personale della loro carriera, giunta ormai al sesto capitolo: non possiede la magnificenza di Southern Rock Opera e forse nemmeno la profondità del citato Decoration Day, ma può vantare una manciata di canzoni tra le più belle scritte dalla band e soprattutto una divisione democratica in seno ai componenti del gruppo (ultima arrivata la bassista Shonna Tucker) che rende più stimolante l'ascolto. Patterson Hood, Mike Cooley e Jason Isbell sono un team di autori che assicura ai Drive by Truckers un sound roccioso, riconoscibilissimo, ma con sfumature e sensibilità differenti. Come già constatato altre volte il loro southern-rock è assai poco ortodosso: tira spesso un'aria pesante che sfiora l'hard (la debordante Lookout Mountain), una scorza dura che richiama Neil Young e i Crazy Horse, aperture melodiche e puro heartland-rock. Se Decorantion Day era il disco dell'introspezione e rifletteva i drammi personali dei singoli componenti, The Dirty South ha uno sguardo più sociale: il disfacimento della comunità del North Alabama, sia economico che ambientale, il dolore e i ricordi si confondono, abbandonandosi a tratti alla nostalgia del passato. E' soprattutto il disco di Jason Isbell, finalmente valorizzato a dovere: sue sono le folate rock di The Day John Henry Died e Never Gonna Change, così come due tra le migliori ballate del disco, l'accorata Danko/ Manuel (indovinate a chi è dedicata?) e la conclusiva Goddam Lonely Love. La voce di Isbell è la più soulful e melodica, contrapposta al gracchiare sgraziato di Patterson Hood, comunque ancora il più solido e polemico songwriter della band. Questa volta lascia il segno in Tornadoes e nella tesissima Puttin' People in The Moon, mentre chiede troppo al suo falsetto con The Sands of Iwo Jima, alla lunga fastidiosa. Mike Cooley sembra infine concedersi meno fughe elettriche (bellissima però Carl Perkin's Cadillac, affresco sugli anni della Sun records di Sam Phillips) e imbastire scheletriche folk song (Cottonseed, Daddy's Cup) che stentano a volte a decollare. Sono piccole macchie all'interno di un lavoro di settanta minuti, generoso e ispirato come e più che in passato.
(Fabio Cerbone)

www.drivebytruckers.com