inserito 21/07/2006

Grant-Lee Phillips
Nineteeneighties
[Cooking Vinyl 2006]

Chiunque abbia ascoltato con un briciolo d'attenzione il suono degli indimenticati Grant Lee Buffalo, cogliendovi tra le righe numerose quanto inequivocabili ascendenze wave, non si stupirà nell'apprendere che il livre de chevet del loro leader Grant-Lee Phillips riproduce soprattutto i testi e gli accordi di canzoni degli anni '80. E' a quel decennio amato e odiato in pari misura che Phillips dedica il suo primo album interamente composto di cover, affrontando in pressoché solitaria chiave pop (la batteria di Kevin Jarvis, il violoncello di David J. Carpenter e il violino di Eric Gorfain fanno capolino solo sporadicamente) i brani-manifesto di gruppi come Echo & The Bunnymen, Smiths, Cure, Rem, Joy Division e New Order. Sarà che si tratta degli anni in cui sono cresciuto anch'io e non sono mai stato incline a valutarli con particolare indulgenza, sarà che dalla carriera solista di Phillips mi aspetto sempre quel definitivo salto di qualità che, ad onta dell'ottimo Virginia Creeper di due anni fa, sembra non arrivare mai, sarà questo e sarà quello, ma Nineteeneighties suona alle mie orecchie come un lavoro piuttosto fragile ed estemporaneo, infiammato sì da improvvisi lampi d'ispirazione eppure altrettante volte affossato da traduzioni che davvero nulla aggiungono in termini di suono, di visione, di stimolo. I trattamenti meno convincenti sono quelli riservati all'Australia: un'assai blanda rilettura dei Church di Under The Milky Way (più o meno tale e quale, solo più spenta) e un'involuta City Of Refuge che se la sentisse Nick Cave scoppierebbe a ridere prima di accendersi la 250° sigaretta della giornata. Love My Way (Psychedelic Furs), invece, l'avrò ascoltata centinaia di volte e ancora non riesco a ricordarla, The Killing Moon (Echo & The Bunnymen) si trasforma in nenia tediocre, Age Of Consent (New Order) si basa su un'ideuzza folk tanto divertente quanto evanescente, mentre in Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me (Smiths) di idee non ce n'è proprio neanche una. Che dire, poi, del Robyn Hitchock di I Often Dream Of Trains se non che avrebbe meritato un sussulto d'inventiva in più? Stupefacente, dunque, che il resto del programma si attesti su livelli straordinari: lo sono i Joy Division di The Eternal, qui mutata in morriconiano madrigale western (un capolavoro, o giù di lì), e i Pixies di una Wave Of Mutilation proposta in sbrindellata dimensione country-rock, i Rem di una straziante So. Central Rain (I'm Sorry) (che qui assomiglia alla loro Drive) e i Cure di una Boys Don't Cry risolta con sofferto pathos. Diciamo allora che questo di Grant-Lee Phillips non è, in fondo, un tributo alle band citate, bensì un tributo a se stesso e alla propria giovinezza, ai propri ricordi e alla propria formazione: spontaneo e sfuocato come un'istantanea realizzata con mano mossa dall'emozione, e come un'istantanea al tempo stesso urgente e traballante. Per stavolta va bene così.
(Gianfranco Callieri)

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