inserito 07/06/2006

Bill Madden
Gone
[Mad Muse 2006]

Una vecchia foto in bianco e nero dei genitori di Bill Madden sembra evocare ricordi e nostalgia, accompagnati magari da un tappeto sonoro in un rigoroso stile da folksinger, così come frettolosamente è stato catalogato questo giovane autore californiano. Al contrario l'impianto sonoro di Gone, secondo lavoro dopo l'esordio del 2004 Samsara's Grip, ha tutto l'aspetto di un folk rock "modernista" e lontano dagli sterotipi dell'acustico ad oltranza o persino di una vaga parentela con il linguaggio roots oggi in voga nella provincia americana. È dunque un disco che ricerca, forse con un certo manierismo, le atmosfere più adatte alla voce brillante del protagonista, spesso molto somigliante a quella di Peter Himmelman, sposando l'anima antica dello storyteller con il sound rotondo del pop e le asperità delle chitarre. Si riscontra una buona dose di classe in questa sequenza di ballate, sebbene non tutto il tragitto si dimostri fluido, a tratti troppo caricato dalla produzione di Billy Mohler. Quest'ultimo si impone come il vero factotum della situazione, imbracciando basso, chitarre, ma soprattutto fender rhodes, wurlitzer, mellotron, strumentazione vintage che regala un alone di rock d'autore "settantesco" all'intero Gone, beneficiato infine dalle presenze di Jimmy Chamberlin (ex Smashing Pumpkins) dietro i tamburi e Sean Woolstenhulme alle chitarre elettriche. Madden mette a disposizione la sua chitarra acustica e i suoi testi sensibili all'analisi sociale e all'invettiva politica, dai più espliciti e polemici tra cui la stessa Gone (un giorno ci accorgeremo del danno che abbiamo fatto/ un giorno scopriremo che tutto se ne è andato) una dichiarata Dangerous Game, Black Gold e la conclusiva Everything and That, rock'n'roll allucinato e dal taglio british, a quelli di natura più introspettiva, e nondimeno intelligenti (Path of the Heart, Friend, Awful God). È questa qualità letteraria la carta vincente di un songwriter peraltro non particolarmente orginale sotto l'aspetto musicale, ma in grado di distendere le emozioni delle liriche su eleganti costruzioni melodiche. L'apertura di Weight of the World è in tal senso una delle migliori testimonianze del suo potenziale pop rock, accresciuto e ribadito in Friend, acuito dai feedback delle chitarre in Gone e reso infine più soffice nei sussurri folk minimalisti di Might Have Been e Awful God o in quelli leggermente elettrificati di Path of the heart. Una certa dose di stravaganza (Mi Vida Es, Art of Being) impedisce forse a Bill Madden di rendere più omogeneo il suo sforzo musicale, ma c'è una sostanza d'autore in Gone che potrebbe presto dare buoni frutti.
(Fabio Cerbone)

www.billmadden.com