inserito 03/10/2007

Michael McDermott
Noise from Words
[
One Little Indian 2007]

Sarà stata la pigrizia. Forse la distrazione. Confesso però che fino ad oggi la straordinaria bellezza degli album di Michael McDermott mi si era spalancata davanti grazie a un brano particolarmente epidermico, energico e contagioso: costringendomi a un replay immediato, favoriva anche una più lunga frequentazione dell'opera nel suo complesso. Nel corso di Noise From Words questo non accade. Qui non ci sono una Hold Back A River o una Darkest Night Of All. Non Just West Of Eden o Shadow Of The Capitol. Nessuna 20 Miles South Of Nowhere. D'accordo che, fin dal titolo ("rumore dalle parole"), lo stesso McDermott pare voglia suggerire una predominanza delle liriche rispetto ai suoni e alle melodie, ma stavolta si esagera. Che i testi delle canzoni siano come al solito molto personali e sofferti potrebbe capirlo anche un qualsiasi ascoltatore capitato sull'accorata autobiografia di My Father's Son o sulle laconiche dichiarazioni di solitudine di Still Ain't Over You Yet per puro caso. L'insieme dei brani, però, ricorda un po' troppo da vicino quello dell'omonimo Michael McDermott (1996), magari meno patinato in sede di produzione eppure contraddistinto dalla stessa opacità di scrittura: dodici ballate dai tempi medi e dai toni riflessivi, un bagno di atmosfere tra l'acustico e l'elettrico con moderazione stracolmo di citazioni dylaniane come mai prima d'ora ma privo di quella ruvida scintilla di carattere che sempre emerge anche nel Bob Dylan meno ispirato. Certo, lo spumeggiante up-tempo in salsa irish di The American In Me, il folk-rock marziale di Broken e A Long Way From Heaven (con la seconda comunque troppo somigliante a una versione appena più rock della Annie And The Aztec Cross di Last Chance Lounge ['00]), la malinconica chiosa per pianoforte di I Shall Be Healed o gli strepitosi intrecci unplugged di Mess Of Things ("Like a poet writes / A singer sings / And you and I / Make a mess of things") farebbero morire d'invidia qualunque songwriter meno dotato. Nondimeno, resta l'impressione che durante i due anni necessari a completare Noise From Words (le cui registrazioni, tutte rigorosamente effettuate live in studio e depurate da quei tocchi modernisti che così felicemente avevano sostanziato i pezzi di Ashes, hanno avuto inizio in seguito all'arresto dell'autore per detenzione di cocaina), McDermott abbia ceduto alla tentazione di accucciarsi in uno di quei lavori piagnucolosi, confessionali e vagamente imbambolati nei quali anche i pesi massimi, al di là della freschezza della vena, sembrano prima o poi dover indugiare. Lo stimassi soltanto un poco meno di quanto lo stimo, potrei persino ritenermi soddisfatto. Ma in questo momento, se penso a un aggettivo per classificare Noise From Words, non me ne sovviene uno più calzante di "inessenziale", e siccome sto pur sempre parlando di Michael McDermott lo trovo ancor più triste e denigratorio di quanto non sia in realtà.
(Gianfranco Callieri)

www.michael-mcdermott.com
www.onelittleindian-us.com


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